Il ricordo del 25 aprile nella memoria di chi ha vissuto la Liberazione
Un progetto interessante quello di "Identità e futuro Nostro Cernusco", che ha voluto portare a galla la memoria storica di chi ha vissuto il dramma della guerra.
Un'iniziativa particolare, con l'obiettivo di mettere in risalto la memoria storica di chi ha vissuto la guerra e la Liberazione. Il gruppo di minoranza "Identità e futuro Nostro Cernusco", capitanato da Gennaro Toto, in occasione del 25 aprile ha voluto trasmettere le sensazioni e i racconti di un periodo lontano, ma così vivo nella mente di chi lo ha vissuto.
Il senso dell'iniziativa per il 25 aprile
"In un periodo come questo dove il Covid-19 sta stravolgendo le nostre abitudini, abbiamo pensato alla tristezza di una cerimonia del 25 aprile senza "memoria storica", gli anziani, e senza "futuro", i bambini.
Abbiamo ritenuto fosse interessante trasmettere le sensazioni e i racconti di quel giorno e di quel periodo così lontano, ma così vivo nella mente di chi lo ha vissuto. Le domande poste dai più giovani a chi ha vissuto il 25 aprile del 1945 aiuteranno a trasmettere l’essenza di questa festa e il valore della libertà. A questa generazione di donne e uomini nati prima o durante la guerra e a quella delle loro madri e padri un ringraziamento speciale per averci donato la libertà, per averci portato fuori dalle macerie della II guerra mondiale e averci dato una carta costituzionale i cui principi fondamentali, universalmente riconosciuti, sono la base della democrazia e della nostra società. Grazie!" hanno spiegato i membri di Ifnc in un comunicato.
Le domande che i bambini hanno posto ai nonni
Tre le domande che i bambini hanno voluto porre a coloro che in prima persona hanno vissuto il 25 aprile 1945:
a) Ti ricordi dov’eri il 25 aprile del 1945?
b) Cos’è per te la libertà?
c) Quale ricordo hai del periodo della guerra?
Le domande di Martina a nonno Ugo
a) Avendo avuto nove anni all’epoca, ero in cortile dove si passava la maggior parte della giornata con tutti i bambini che abitavano in cascina.
b) Per me libertà significa fare quello che si vuole nel rispetto della libertà altrui e andare dove si vuole senza alcuna limitazione.
c) Ricordo la sirena di Merate che suonava e avvisava di nascondersi. Andavamo quindi a rifugirci presso la cantina di Donadelli in via Monza o in aperta campagna sotto la vigna. Di sera passava “pippo” un piccolo aereo militare che controllava se ci fosse qualche luce accesa, ricordo la paura degli uomini di accendere anche un solo sigaro per paura di essere visti e bombardati. Capitava anche di sentire e vedere nel tardo pomeriggio quando si tornava dalla campagna o di sera guardando dalle finsetre dai piani alti le esplosioni dei bombardamenti verso Milano. Venendo da una famiglia contadina con campo e animali in tavola c’era sempre qualcosa da mangiare. Non era in abbondanza perché eravamo in tanti ed erano sempre le stesse cose, ci accontentavamo e non sprecavamo. Poco dopo la fine della guerra il primo maggio. Ricordo i carri armati degli americani messi in via Monza e in zona campo sportivo e noi bambini che andavamo da loro per prendere il cioccolato.
Le domande di Matteo a nonno Luigi
a )Avevo 10 anni. La notizia la appresi alla radio dalla famosa trasmissione “Radio Londra”. Per motivi di lavoro di mio papà, (tuo Bis-Nonno) in quanto ferroviere, abitavamo sopra Bolzano e più precisamente al Passo della Mendola. Dopo quella notizia, tutti scesero in strada a far festa. Dopo pochi giorni arrivò a casa, dalla guerra, sano e salvo, anche il figlio del padrone di casa che ci ospitò in quel periodo. Anche lì ci fu una grande festa. Siamo ancora in contatto con gli eredi. E’ anche grazie a loro se tu ci sei. La radio era l’unica fonte di informazioni. Dovevamo tenerla ben nascosta.
b) Per apprezzare la libertà conquistata, bisogna capire cosa “non” è la libertà di quel periodo. La libertà, per me, è la possibilità di pensare ed agire come vuoi tu, nel rispetto delle regole e degli altri.
c) Abitavamo in città a Bolzano. Ma mio papà e tuo Bisnonno, per paura che ci bombardassero la casa, decise di portaci sopra Bolzano, al Passo della Mendola, dove frequentai la 3^ e 4^ elementare. Devi capire che in quel periodo la città era un bersaglio strategico per gli Alleati, in quanto, la ferrovia e la strada del Brennero erano una via di comunicazione strategica per i Tedeschi, quindi, per poterli mettere in difficoltà, le bombe erano frequenti in quella zona. Quindi, dopo aver frequentato la 1^ e 2^ elementare ci trasferimmo. In classe avevamo appeso al muro sia il crocefisso sia il ritratto di Mussolini, che noi lo chiamavamo “ul Crapun”. Durante le feste dovevamo indossare la divisa dei “figli della Lupa”. Inoltre, siccome c’erano pochi bambini, io andavo a scuola per 6/7 ore a settimana. Poche. Saputo della presenza di un maestro elementare in paese, i miei mi fecero fare da lui lezioni private. Fortunatamente. Inoltre dal paese, sentivo le sirene dell’arme aereo a Bolzano, poi il rumore degli aerei, e poi li vedevo disposti in volo a ”rombo”, pronti a sganciare le bombe. Fortunatamente ci trasferimmo, in quanto la casa di città dei primi anni fu distrutta, in quanto vicina alla ferrovia. Durante i Bombardamenti il Bis-Nonno si rifugiava sotto la galleria stradale chiamata “Virgolo”, che si trova attualmente sull’autostrada fra Bolzano Nord e Sud. Sopra al monte c’è una chiesa. Dopo l’8 settembre del 1943, (Armistizio firmato da Badoglio), noi bambini andavamo nei boschi in zona a raccogliere la legna e le pigne per bruciarli nella stufa per scaldarci. Ogni tanto trovavamo accampamenti abbandonati dai nostri soldati italiani. Lì potevi toccare Bombe a mano inutilizzate o munizioni. Tanti bambini del luogo, non conoscendo cosa fossero, nel maneggiarle, sono “saltati in area”.
Le domande di Giorgia a nonno Giovanni
a) Ero a casa in fondo Via Monza a Cernusco Lombardone; uscendo c'erano i muri pieni di manifesti che inneggiavano alla Libertà; anche mio padre Cesare era a casa, dopo essere tornato dal fronte Albanese;
b) “Poter decidere quello che voglio io”;
c) Alla fine della guerra, quando i tedeschi erano in ritirata dormivano a casa nostra. Ricordo un episodio quando alcuni tedeschi “giocavano” lanciandomi e rimpallandomi nella neve mentre mia madre era impietrita e piangente sulla porta di casa. Ricordo che quando arrivarono gli americani, non dormivano nelle case dei civili ma sotto i propri mezzi militari.
Le domande di Giorgia a nonna Carla
a) Ero in casa, nata da poche settimane;
b) Gli Stati Uniti d’America;
c) Nata da pochi giorni, ero a casa nostra a Calco. Arrivarono gli americani, e mentre ero in braccio a mia Madre sul letto, ci sommersero completamente di caramelle (a quel tempo le caramelle erano un lusso solo per i ricchi).
Le domande di Giorgia a nonna Pinuccia
a) Non ricordo esattamente dove fossi (ero piccola a quel tempo), ma ricordo che i soldati americani erano a Montevecchia e i ragazzi più grandi andavano da loro per farsi regalare le barrette di cioccolato;
b) La libertà è un concetto complesso. E’ potersi esprimere liberamente, sempre rispettando gli altri;
c) La mia famiglia abitava vicino alla stazione ferroviaria del paese. Essendo la stazione un punto strategico, era spesso oggetto di bombardamenti aerei. Quando suonavano le sirene, noi che eravamo in casa scappavamo negli orti che oggi ci sono i giardini di Villa Lurani, mentre i miei fratelli più grandi, che giocavano lontano da casa, si rifugiavano nei cunicoli nei pressi di a San Dionigi o nei tunnel sotto i binari della ferrovia. Ricordo anche che una mia vicina di casa, che faceva la sarta, conservava i bossoli dei proiettili nei cassettini del mobiletto della macchina da cucire. Ricordo anche mio padre (attivo nella Democrazia Cristiana) mi portava con lui in sede a preparare i manifesti.
Le domande di Renata a sua mamma Teresina
a) Non ricordo con precisione, c’era un carro armato vicino alla segheria dei Pirovano, dove abitavo, i tedeschi andavano verso Lecco e noi siamo andati a dormire a Moscoro dalla zia Angelina.
b) Essere liberi di scegliere.
c) Ho tanti ricordi, ma soprattutto i bombardamenti. I razzi che illuminavano la notte per poter bombardare il ponte di Paderno e mia madre, mio fratello Peppino ed io nei campi della zona oltre statale tra le viti a ripararci e sentire che c’erano tanti altri che come noi pregavano. Mentre mio padre, che aveva fatto la prima guerra mondiale, rimaneva in casa dicendo “bombardano a Paderno e voi scappate fuori qui”. E ancora, quando suonavano le sirene e andavamo a rifugiarci nei seminterrati di casa Clapis, che fungevano da rifugi antiaerei, diceva: ”farete la fine dei topi”. Ricordo di aver realizzato una maglia intima di lana per mio fratello maggiore, Mario, che era militare vicino Bergamo e di avergliela portata raggiungendolo con la bicicletta.
Le domande di Chiara a nonna Lina
a) Probabilmente ero a casa. Ricordo di più il grande trambusto dei giorni successivi. Sentivo che dicevano la guerra è finita, e poi hanno rasato due impiegate comunali perché considerate fasciste. Andavo a scuola e nel cortile avevano realizzato un recinto in cui avevano inserito delle persone, probabilmente fascisti. Ricordo la strage di Valaperta. Ricordo che c’era tanto odio e violenza, desiderio di vendetta.
b) è anche democrazia, possibilità di esprimere i tuoi pensieri.
c) Scappavamo nei campi quando suonava l’allarme. Ricordo una notte quando dopo il cessato allarme dall’alto della casa cantoniera, dove abitavo, si vedeva l’orizzonte verso Milano tutto rosso. Un’altra volta in una notte di luna piena, un aereo continuava a girare vicino alla Casa Cantoniera. Probabilmente aveva scambiato le strade che luccicavano per il lago. Per fortuna non è successo niente. Mentre un aereo aveva mitragliato un carretto che stava percorrendo la strada, allora sterrata, che da Cernusco porta a Paderno, uccidendo il conducente.
Le domande di Margherita a nonna Angela
a) Abitavamo a Milano (dopo essere sfollata da Latina dove erano sbarcati gli Americani). Quella mattina sparavano dai tetti delle case, ma la banca dove io lavoravo era aperta e così la raggiunsi strisciando lungo i muri.
Ho saputo della fine della guerra solo nel pomeriggio quando è arrivato mio marito (allora eravamo solo fidanzati) che fino a quel giorno aveva lavorato per i tedeschi a Peschiera come ferroviere. Il nostro vicino di casa andò in quei giorni in Piazzale Loreto dove avevano impiccato Mussolini. Tornò sconvolto e stette male tutta la notte.
b) La liberà è una cosa immensa.
c) La guerra è brutta e tutte le mattine quando andavo a lavorare avevo paura. Ricordo che in mensa mangiavo il primo e portavo a casa il secondo per mangiarlo alla sera insieme alla famiglia.
Le domande di Margherita allo zio Italo
a) Passavano camionette degli Inglesi, c’erano sparatorie e ricordo un corteo di camion con gente in festa e, sedute sui parafanghi donne rapate e con la testa pitturata di rosso. In tutti i negozi c’erano molte foto di Piazzale Loreto.
b) L’abbiamo capito dopo perché allora non ci sentivamo costretti ancorché si dovessero rispettare regole molto rigide.
c) Un giorno ero a fare la spesa con la mamma e ho visto un aereo che lasciava una scia di vapore. Appena la mamma lo vide anche lei, mi prese e corse con me verso il rifugio aereo di casa nostra. Subito dopo iniziavano i bombardamenti. Un’altra volta siamo andati con la mamma a Baggio a trovare un amico. Lungo le strade gli stabilimenti erano sventrati con qualche ciminiera ancora in piedi.
Le domande di Anna alla maestra Ferma
a) Abitavo a Sondrio e quella mattina pioveva a dirotto. I partigiani scendevano dalle montagne con grandi ombrelli rossi. Ero sulla soglia di casa ed ho visto un fascista rincorso ed ucciso dai partigiani.
b) Nata e cresciuta con ideologia fascista, c’è voluto molto per rieducarsi alla democrazia. In questo mi ha molto aiutato l’adesione all’Azione Cattolica.
c) A Sondrio la guerra non è mai arrivata e uno dei pochi episodi che ricordi è il bombardamento di una palazzina vicino alla stazione ferroviaria nella quale tutte le famiglie sono rimaste miracolosamente incolumi in quanto si erano nascoste nel rifugio sotterraneo.
Le domande di Gianni a Luigi
a) Si mi ricordo bene, il 25 Aprile 1945 mi trovavo a casa, abitavo con la mia famiglia a Carzaniga (Fraz. Di Merate); la mia casa si trovava lungo la vecchia Statale 36 che a quei tempi era la strada di collegamento tra Milano e la Valtellina /Svizzera. A Merate c’erano Tre comandi Tedeschi che si erano stanziati nelle ville patrizie esistenti. Il comando più vicino era ubicato vicino a casa mia nella villa che si trova ancora oggi in Via Garibaldi (di fronte all’ex Cinema Odeon).
b) Per me la Libertà è una cosa sacra, bisogna saperla difendere e mantenere, anche perché (come per la Salute), ne capiamo il valore solo quando la perdiamo o non l’abbiamo più. Molte persone non se ne rendono conto, però in questo momento “particolare” dove ci sono alcune restrizioni alle nostre “Libertà individuali” riusciamo sicuramente ad apprezzarne il Valore. Certamente la Libertà non significa fare quello che si vuole, ma comportarsi in modo tale che le tue necessità e/o esigenze non debbano prevalere rispetto alle Libertà delle altre persone.
c) Un’immagine che mi è rimasta impressa di quel periodo è quella dei bombardamenti che venivano fatti su Milano ed il bagliore che si vedeva salire da Milano, oltre al fatto che ci si nascondeva nei campi quando si sentivano i Bombardieri che cercavano di far saltare il Ponte di Paderno o il dover spegnere le luci di casa per evitare di essere individuati dagli aerei. Altra immagine è quella relativa alle Tradotte di carri Tedeschi che passavano dalla Statale e andavano verso la Valtellina per fuggire in Germania. Dopo il 25 Aprile ho ben presente due immagini. La prima è relativa all’arrivo degli Americani che distribuivano caramelle e cioccolato a noi bambini (cose mai viste prima!). La seconda è quella del ritorno del pane bianco!! Presso il Fabbricone (Casa Clapis – dove c’è l’attuale farmacia) si trovava un panettiere e andavo con la carriola da Carzaniga a prendere il pane…le prime volte erano più i panini che mangiavo durante il percorso (qualche centinaio di metri) rispetto a quello che portavo a casa ;la fame era tanta… ma sopratutto non ne potevamo più di mangiare ul “Pon Gialt”!!...
Le riflessioni di Bea, 10 anni
Ho sentito parlare del 25 aprile 1945 e mi sono incuriosita perché non conoscevo bene il significato di questa festa, così ho chiesto ai miei nonni di raccontarmi cosa gli era rimasto impresso di questo giorno. Purtroppo non ricordano molto, ma le loro parole mi sono bastate per capire qualcosa in più, mi sono servite a capire che è stato un giorno molto importante e di festa. La nonna Uccia era piccola, quel giorno aveva 4 anni e si ricorda che a Imbersago dove viveva con i genitori e la sorellina appena nata erano passati per le strade i carri americani e le camionette con i soldati e tutti quanti erano scesi per strada ad applaudire e salutare festosamente i soldati. Mio nonno Venanzio nel 1945 aveva 9 anni ed era l’ultimo di 5 fratelli, viveva con la sua famiglia al “Bregulon” in via Monza a Cernusco L.e di quel giorno non ha un ricordo preciso, ma quello che ricorda con più’ malinconia è il ritorno di suo fratello dalla Germania. lui che tornava a casa dopo molto tempo perché era stato prigioniero nei campi di concentramento in Germania, e il giorno del suo arrivo la gente lo aveva accolto con gioia lungo tutto il tratto di strada che aveva percorso a piedi dalla stazione passando per Via Roma fino a casa in Via Monza….era un miracolo che fosse tornato a casa vivo, e nessuno ci sperava più. Poi c’è il ricordo della nonna Mary e del militare nascosto. Il militare era di Brescia era stato per 7/ 8 mesi nascosto nella casa dei miei bisnonni paterni, in un paese della Puglia. Lavorava nel laboratorio del padre di mia nonna, che era un artigiano (faceva mobili e porte in legno...). La nonna seppur molto piccola ricorda che il giovane soldato vestiva con gli abiti dei fratelli della bisnonna, che erano giovani come lui, o quelli di suo padre. Quando anche i militari inglesi e americani lasciarono il sud Italia, lui a piedi cominciò il suo viaggio di ritorno verso Nord, dove i familiari lo aspettavano. Durante il periodo in cui si nascondeva presso i miei bisnonni, tramite conoscenti teneva informati i suoi. La mia bisnonna, che era un' ottima cuoca, raccontava che il soldato apprezzava molto la sua pizza e i suoi maccheroni al sugo. Dopo tanti anni mia nonna si sposò ed ordinò i mobili a Brescia, su insistenza di suo padre, proprio in un mobilificio, che portava lo stesso cognome del giovane soldato ospitato.
Le domande di Nadia a Graziella
a) Io con mia mamma e mio papà eravamo andati a trovare una sua cugina a Merate. La mamma ha detto al papà di portarmi a casa in bicicletta e lei ha proseguito a piedi. Quando è stata vicino a Sabbioncello, dove c'è l’edicola della Madonna, si è trovata di fronte un camion degli alleati pieno di soldati euforici ed ubriachi. La mamma si è arrampicata sul muro, il camion ha sfiorato tutto il muro. Ricordo sempre che la mamma diceva: è stato un miracolo, per fortuna sei andata a casa con il papà in bicicletta.
b) Tutto quello che fai, che dici, deve arrivare a un certo limite e non invadere il prossimo. Cioè la tua libertà non deve prevaricare il prossimo. Questo vuol dire essere liberi e anche giusti.
c) Mia mamma e mio papà erano impiegati ad Olgiate nella ditta dello zio e andavano a piedi. Lo stabilimento dello zio era lì vicino alla ferrovia. In seguito ad allarme aereo lo zio, mamma, papà e l’Angiuloe si sono rifugiati in un cassotto. La mamma non si sentiva sicura e si sono quindi spostati nel bosco. Mezz’ora dopo hanno mitragliato il cassotto. Quando sentivamo gli aerei mia nonna e mio fratello mi facevano andare in uno sgabuzzino perché dicevano che sopra c'era un muro maestro che ci avrebbe protetto oppure mi nascondevo sotto la macchina da cucire.
Le domande di Martina a nonno Samuele
a) Ero in cortile a giocare. A Verderio dove abitavo, in quei giorni avevano fermato una colonna tedesca che scappava. Tutti erano andati ad approvvigionarsi. Ricordo che mio padre era ritornato con un pezzo di lardo e della paraffina per impermeabilizzare gli scarponi.
b) È tutto! Si è liberi di essere sé stessi: agire e pensare come si vuole, ma sempre nel rispetto della libertà altrui.
c) Ricordo di essermi ammalato ai polmoni perché quando urlavano arriva “Pippo”, arriva “Pippo” cioè arrivava l’aereo, scappavamo nei campi anche d’inverno quando c’era molto freddo. Una volta ero andato anche con la febbre. Si aveva paura dei bombardamenti e ricordo che mia sorella più piccola cadeva dal girello talmente si dondolava. La sera si mettevano i panni sopra ai lumi per non far filtrare la luce quando si apriva la porta per uscire. Anche se bambino aiutavo gli adulti a sbucciare le pannocchie sotto ai portici e i più piccoli venivano fasciati e messi contro al muro.
Le domande di Chiara a nonno Enrico
a) Ero a scuola probabilmente
b) La libertà è tutto, essere liberi, nel rispetto della legge, di fare quello che si vuole
c) Quali ricordi hai del periodo della guerra? Nonno Enrico: Tanti, belli e brutti. Alla sera non potevi accendere le luci e dovevi oscurare le finestre. Se vedevano la luce fuori venivano a bloccarti. A casa nostra di sera si radunavano i ragazzi partigiani. Mia mamma cucinava per i partigiani. A volte mia mamma mi chiedeva di portare dei pacchetti fino in fondo a via Roma, mi diceva di non guardare quello che c’era dentro ma io sapevo che c’erano pezzi di armi. Fu un periodo brutto per la libertà. C’erano anche i bombardamenti. Si seguiva la radio. Molti seguivano radio Londra. Mi ricordo che nella sigla partivano 3 o 4 dun dun dun ed era proibito ascoltarla perché informava su cosa succedeva realmente nella guerra.
Le domande di Martina a nonno Cesare
a) Ero a Moscoro, a casa, facevo la prima elementare.
b) Libertà è fare quello che si vuole
c) Di notte c’erano gli aerei e io e la mia famiglia dovevamo nasconderci nei campi, con le luci spente, sotto una vite o all’ombra se di giorno; c’era una persona che gridava Muscuret smorsa il ciàr e scappavano tutti di casa. Quando hanno bombardato Lomagna gli aerei erano passati bassissimi sopra i tetti di Moscoro. Mio papà si nascondeva nei campi perché era disertore e lo zio gli portava da mangiare. Nascondeva i fucili in un
gelso o nei buchi. Mio papà doveva essere portato in Germania ed era scappato. C’era poco da mangiare, si mangiava quello che si trovava nei campi, qualsiasi cosa fosse commestibile. A Lomagna c’era un fascista che aveva paura che lo uccidessero e andava in giro con la bandiera rossa per non farsi riconoscere. Il galletto di Osnago lo hanno appeso sullo stradone perché aveva tagliato i fili dei collegamenti telefonici dei tedeschi.
Le domande di Christian a nonna Teresina
a) Ero a fare catechismo dalle suore a Merate. Ad un certo punto entra un ragazzo gridando “pace, pace”. Questo era un burlone e non volevamo credergli. Ad un certo punto anche una suora ha iniziato a gridare pace. La guerra era finita. Le campane suonavano a festa in tutti i paesi. In uno dei giorni immediatamente successivi ci fu un gran raduno in piazza Prinetti, alcune donne furono completamente rasate e i partigiani dipinsero la falce e il martello con inchiostro rosso sulle loro teste rasate. Uno di questi mi prese in braccio e mi fece vedere a tutti i presenti per ringraziarmi perché tutti i giorni con mia sorella gli portavo da mangiare in un cassotto in mezzo ai campi dove era stato nascosto da mio papà. Ai piedi di una delle sedi dei fascisti buttavano quadri fascisti dalle finestre ed erano tutti rotti in mezzo alla strada
b) E’ il valore più importane per la persona umana. Libertà è esseri liberi di fare quello che è giusto fare. Se non si prova la schiavitù o la dittatura, come l’ho provata io, è difficile capire cos’è la libertà.
c) Noi avevamo una piccola fattoria e da noi venivano a cercare da mangiare anche gli sfollati da Milano e i montanari. Questi ultimi prendevano soprattutto il granoturco che con una carriola portavano in stazione e io con la zia Luigia la riportavamo a casa vuota. Ricordo una bella signora alta, bionda che veniva da Milano. I nonni una volta gli hanno avvolto attorno alla vita un intero vitello. Ritornava a Milano che sembrava sempre “incinta”. Una notte per via dei bombardamenti avevamo 40 sfollati da Milano, un po’ in casa, un po’ in stalla con letti di paglia e i più giovani sul fienile. Nei nascondigli costruiti dal nonno e da altre persone nei campi avevamo nascosto un deportato fuggito dal treno diretto in Germania e alcuni partigiani. Questi fino a pochi anni venivano a trovarmi in negozio. Il sistema di comunicazione con i partigiani nascosti nei campi era gestito dalla nonna: i panni stessi in una certa posizione sul balcone, visibile da ogni parte, indicava pericolo cioè presenza di tedeschi o fascisti in perlustrazione. Io e la zia Luigia con la carriola per trasportare i polli portavamo anche un secchio riempito nella parte superiore con granaglie e nella metà nferiore c’era invece il cibo per i partigiani. Anche un americano era nascosto da noi purtroppo poi è stato ucciso in seguito ad una soffiata. E’ andato a Merate, è stato inseguito fino a Paderno e fucilato a Bergamo. Anche rappresentanti delle SS arrivavano a prendere cibo, ricordo questo comandante militare che ha perlustrato tutta la casa ed è stato affrontato dalla nonna con furbizia e astuzia. Per non farci
sequestrare il granoturco il nonno e altri uomini lo avevano nascosto nella canna fumaria del camino calandolo dal tetto. Mi ricordo infine che una volta hanno bombardato i carri di cemento in arrivo da Paderno, hanno fatto in tempo a staccare i cavalli e nasconderli dal papà di Battista Albani.
Le domande di Alessandro a zia Pinuccia
a) Non lo so di preciso dov’ero, sicuramente a casa. Pur essendo in quel periodo in collegio a Monza, in seguito ad un bombardamento al Buon Pastore di Monza, il nonno è venuto subito a prendermi perché aveva paura che mi succedesse qualcosa.
b) La libertà è il rispetto verso gli altri e verso me stessa.
c) Il nonno insieme agli amici alla sera andava dietro le botti in cantina (ndr del Bar Biella) a sentire Radio Londra. Sulle finestre avevamo messo la carta morella per non far vedere la luce agli aerei. Ricordo alla mattina e dopo pranzo i caffè. I contadini venivano generalmente verso le due e bevevano il quartino di vino. In zona campo sportivo è uscita da Sesto la ditta Feltrinelli. Un dirigente amico del nonno mi ha portato a fine guerra a Milano e ho visto strade pulite ma tante macerie. Il parroco era don Salvioni. Ricordo il rosso e l’arancio quando bombardavano Milano. Quando suonava l’allarme si andava nei campi, una notte abbiamo dimenticato il tuo nonno Renzo nei campi dell’Andegardo e sono andati subito a riprenderlo. In seguito a soffiata i fascisti sono venuti nel nostro cortile a fare una perquisizione nella cisterna di Vittorio di Tasinet e poi l’hanno portato a Como per interrogatorio rilascaindolo pochi giorni dopo. Lo zio Carletto si ricordava anche di un Brivio di Tulon che ha fatto poi il maestro a Robbiate, impegnato in politica, che con la bicicletta (come Bartali) trasportava, nascosti nella canna, messaggi segreti tra partigiani e di un Biella partigiano attivo in operazioni rischiose.
Le domande di Agnese a nonno Piero
a) A scuola.
b) Il più grande dono di Dio.
c) E’ un periodo che è passato con tanti sacrifici. Mi ricordo degli attacchi aerei. Un giorno un proiettile è caduto accanto a me che ero riparato sotto un portico.
Le domande di Giovanni a nonno Gildo
a) Avevo 17 anni. Ero al Monte S. Genesio, Colle Brianza, nascosto per non andare in Germania a lavorare.
b) La possibilità di pensare ed agire come meglio credi, senza recare danno od offendere gli altri che ti stanno intorno. Anche se non la pensano come te. Purtroppo, mi ricordo, che finita la guerra, in fabbrica, i Comunisti mi offendevano sul piano personale dicendomi che ero un “falso”, una “persona schifosa”, perché non la pensavo come loro. Giovanni, questo modo di agire, pensare e dire, da parte loro, non è libertà.
c) Nonostante fossi minorenne lavoravo già alla “Breda” di Sesto San Giovanni. Costruivamo bombe per gli aerei. In quel periodo la produzione era per fini bellici. Un giorno, i nostri responsabili ci dissero di scioperare. Noi eseguimmo gli ordini. La direzione chiamò i Carabinieri per farci entrare a lavorare e non scioperare. Ma noi non lo facemmo. Allora ci presero, eravamo 15 uomini e 13 donne e ci portarono nei sotterranei a S. Vittore a Milano e lì aspettammo, senza che nessuno ci dicesse nulla. Quella notte ci fu un violento bombardamento su Milano. Noi attraverso una piccola finestrella, vedemmo le luci accecanti delle bombe ed il rumore fortissimo delle bombe che esplodevano. I Carabinieri ci urlarono di non guardare. Il giorno successivo, i Marescialli, ci interrogarono singolarmente, per chiederci i nomi di chi ebbe l’idea e l’organizzazione degli scioperi alla Breda. Ma io non glielo dissi. Anche se ero a conoscenza dei loro nomi. Siccome le prigioni di S. Vittore erano sature, allora, ci portarono al Palazzo di Giustizia, sempre a Milano, in cella. Separati fra uomini e donne. Questo durò 15 giorni. Poi, siccome ero minorenne, fui trasferito in un Istituto, sempre a Milano, per minori. Rimasi per 25 giorni. In questo Istituto, diretto da un Sacerdote che ora non ricordo il nome, al piano terra c’erano tanti sacchi di sabbia posati sul pavimento. Durante in bombardamenti, noi eravamo sdraiati, al riparo da questi sacchi, per evitare che le schegge delle bombe potessero colpirci. Il Sacerdote, in quei momenti diceva il S. Rosario. Noi non rispondevamo, perché non ne avevamo la forza. Eravamo terrorizzarti e avevamo paura di morire. Poi ci lasciarono andare per ritornare a casa. Con un mio compagno andammo a piedi da Milano a Monza. Vedere le macerie ed i fuochi causati dalle bombe fu molto brutto. Il mio compagno si fermò a Monza. Era notte. Andai alla stazione ferroviaria,
raccontai la mia vicenda al capo stazione e mi disse di aspettare nel sottopassaggio il primo treno per Lecco. In quella notte ci fu un altro bombardamento da parte degli aerei Americani. Alle ore 5.00 arrivò il treno per Lecco. Prima di salire, il Capo Stazione spiegò la situazione al controllore il perché non avessi comprato il biglietto. Ero senza soldi. Capii e mi fece salire. Arrivai a Cernusco che era mattino presto. Andai a casa mia, ma tutti i miei cari dormivano (genitori e zii). Picchiai contro le lamiere della recinzione per svegliare qualcuno dei miei genitori o parenti. Quando mi videro, furono felicissimi di vedermi vivo. Erano stati quasi 40 giorni senza notizie. Allora non c’erano i telefonini, caro mio, per comunicare. Arrivò il mese di Giugno e mi chiamarono in Comune a Cernusco (allora ubicato nell’attuale P.zza della Vittoria). Mi diedero la famosa cartolina per partire con destinazione la Germania, come lavoratore. Assieme a me, quella mattina, chiamarono anche altri ragazzi. Uscimmo spaventati e ci fermammo in strada a parlare e discutere sul “da farsi”. Eravamo ubicati vicino al monumento dei caduti. Usciì dalla “Corte Gadda”, di Via Lecco n.20, la Sig.ra Maestra Gerosa, moglie del Colonnello Consonni, Aviatore che pilotava gli aerei durante il periodo della guerra. La maestra saputo da noi la destinazione (Germania) ci abbracciò molto forte ed energicamente, che me lo ricordo come fosse ora. Partimmo con la corriera per Como, che poi da lì ci saremmo diretti in Germania con il treno. Ma io scesi a Olgiate Molgora, per poi scappare a nascondermi sul Monte S. Genesio. Camminai per 13 km.
Le domande di Alessandro a nonno Luigi
a) Nel campo dove adesso c’è l’Esselunga mi ricordo perché abbiamo visto dei soldati correre verso Osnago e poi era arrivata la notizia che era finita la guerra.
b) Tutto.
c) Quando i fascisti avevano trovato due sacchi di grano in stalla che mio papà aveva nascosto sotto il fieno e li avevano portati via.
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