Marta Gaiardelli e il triathlon, storia di una ragazza che ha scritto nuovi limiti
La meratese, oggi residente a Brivio, si racconta: "Si vive in base al risultato ed è sbagliato: da triatleta dicevo sempre che l’obiettivo non era la gara ma il percorso che uno fa per arrivarci"
La patina dorata dei successi alterata dalle emozioni vissute, di quelle forti che faticano a vacillare ancora oggi, con l’animo di una ragazza che ha sognato ad occhi aperti scrivendo nuove possibilità nell’orizzonte dei suoi limiti.
La storia di Marta Gaiardelli
Nel compendio dei sacrifici e degli infortuni che hanno provato a scalfirla, la storia di Marta Gaiardelli nel triathlon è quella di una scommessa vinta e delle sentenze sovvertite dalla resilienza. Un mondo che la campionessa meratese ha fatto suo facendosi spazio come una rana fa in uno specchio d’acqua, lei che nata e allevata sportivamente nelle vasche della Libertas Merate è stata una ranista purosangue. Giovane promessa del nuoto negli anni Novanta, da un grave problema di salute la 49enne meratese oggi residente a Brivio ha saputo rilanciarsi per poi avvicinarsi al triathlon di cui è stata voce narrante a livello italiano con titoli individuali e di staffetta e in ambito internazionale vestendo l’azzurro dal 2001 con ingresso nelle Fiamme Azzurre dal 2003: le gare di Coppa del Mondo in Irlanda e a Boston nel 2005 e il bronzo iridato a Niteroi 2010, in Brasile.
Marta Gaiardelli, a destra, con il gruppo della nazionale
Marta Gaiardelli durante un'edizione del campionato italiano duathlon sprint
Marta Gaiardelli campionessa d'Italia con la staffetta formata anche da Bonin e Massari (Gaiardelli al centro)
Con il tecnico delle Fiamme Azzurre Massimiliano Biribò
Durante la frazione di corsa al campionato italiano di triathlon medio a Barberino del Mugello, in cui si classificò al secondo posto
Durante la Granfondo Pinarello
All'Itu Event di Irlanda nel 2005
Sul podio a Niteroi, il mondiale brasiliano, nel 2010
Qui con l'indimenticato speaker Luigi Risti all'arrivo del Triathlon Città di Lecco nel 2014
“Mi avevano detto che non avrei potuto più nuotare – racconta l’ex azzurra – Quando accadono degli infortuni importanti o dei problemi di salute è facile lasciarsi andare ma lo sport mi ha sempre aiutato. Ho preso sempre tutto come una sfida, come se avesse davanti a me un avversario: avevo vent’anni all’epoca e non potevo pensare di rinunciare al mio mondo. La volontà a volte ti fa arrivare dove con il fisico si pensa di non arrivare. Ho conosciuto il triathlon alla fine del 1997, in piscina a Merate facevo i miei allenamenti con Eugenio Brembilla e lì cominciai ad essere seguita anche da Giampaolo Sala, anni dopo mio marito e oggi ex (fa coppia con Pierluigi Colombo, ndr). Un giorno scommettemmo se sarei riuscita a partecipare a una gara sull’Isola d’Elba e a livello amatoriale vinsi tra le donne: da lì partì tutto, perché già nel 1998 fui tesserata per la Silca Ultralite di Treviso e arrivarono i primi titoli italiani. La mia carriera è proseguita anche dopo con la nazionale, sono stata gregaria di Nadia Cortassa (quinta ad Atene 2004, ndr) e poi alcuni infortuni stopparono il mio probabile sogno olimpico del 2008. Proprio in quell’anno è nato il mio primo figlio Stefano e ho proseguito a livello europeo con il campionato di duathlon; nel 2012 è nata Ilaria (la seconda figlia, ndr) e mi sono dedicata alle medie distanze. Ho smesso con il professionismo nel 2015, anche perché a quarant’anni tenere insieme un fisico non è cosa mica da poco. Facendo la resa dei conti devo tantissimo al triathlon, soprattutto per le opportunità che ho vissuto e le esperienze fatte lungo quel cammino. Penso di essere stata un’atleta determinata, molto emotiva ma anche capace di dominare l’emotività nei momenti che contavano: ho sempre riconosciuto il valore delle mie avversarie, soprattutto nelle sconfitte perché ero cosciente del mio valore e se potevo imparare lo facevo volentieri. Le gare più belle? Penso al secondo posto nell’Itu in Irlanda nel 2005, qualcosa di inaspettato, il titolo italiano a squadre con le Fiamme Azzurre nel 2010 dove fu decisiva la mia frazione in bici e forse per importanza il Triathlon Sprint di Cuneo nel 2004: non ero tagliata per le distanze sprint e invece in quell’occasione vinsi. Metto sul podio anche il Mundialito di Fast Triathlon del 2010 a Niteroi, in Brasile, con Monica Cibin e Daniela Chmet conquistammo il bronzo”.
"Ai miei tempi esibire la fisicità in gare era un fatto insolito"
Epoche diverse, di uno sport cresciuto a dismisura nelle conoscenze e nel retaggio culturale. “Ai miei tempi esibire la fisicità in gare soprattutto locali era un fatto insolito, vedevo gli occhi straniti della gente. Ora invece è normalità. Il triatleta proveniva per lo più da altre discipline, oggi si parte da allenare più discipline e si nasce già triatleta. La tecnica ha aiutato moltissimo allo sviluppo di questo sport, la metodologia dell’epoca era basata su tentativi e si rischiava di farsi male ma per fortuna ho avuto allenatori preparatissimi. Non ho una frazione a me cara, il nuoto sicuramente è quella che mi sta più a cuore perché ci sono cresciuta, nella bici ho dimostrato le mie doti e per la corsa invece mi sono letteralmente ammazzata di lavoro. Per questo ringrazio Mino Passoni della Ctl3 che per tanti anni mi ha allenato a Carnate”.
Marta Gaiardelli oggi, i figli e il pensiero sullo sport
Ilaria, la figlia di Marta Gaiardelli, nuota nel Team Nuoto Calusco
Marta Gaiardelli in cima al podio con il piccolo Stefano, oggi 16enne
La vita quotidiana ha assunto nuove sfumature e priorità. Stefano e Ilaria, anche lei nuotatrice iscritta al Team Nuoto Calusco: figli a cui diffondere il germe dello sport e dei suoi valori. Senza paragoni con quello che è stato. “In casa non c’è alcun trofeo appeso, sia io che Giampaolo abbiamo ritenuto controproducente farlo. L’unica targa appesa è il premio di sportivo dell’anno di Merate del 1989 che ora apprezzo di più perché ho la consapevolezza di quello che ho vissuto. Per il resto faccio la mamma, nel mio passato da allenatrice reputavo tossiche le interferenze dei genitori. Seguo con curiosità le gare di Ilaria che per la legge del contrappasso non è una ranista (sorride, ndr) ma in compenso do i consigli che darebbe qualsiasi mamma. Purtroppo vedo sempre più spesso che si vive in base al risultato ed è sbagliato, si crea una mortificazione esagerata. Da triatleta dicevo sempre che l’obiettivo non era la gara ma il percorso che uno fa per arrivarci”.
Michael Tassone