Alcune evoluzioni della L. 210/1992 in materia di indennizzo dei danni da vaccinazione

Questi lunghi anni di pandemia hanno riportato al centro dell’attenzione il tema sensibilissimo della vaccinazione, con i suoi evidenti benefici e, insieme, con i suoi latenti rischi.
L’incontrollabile diffusione di un nuovo virus (il Covid-19) ci ha ricordato la doppia natura di un diritto vecchio, vecchio almeno quanto la Costituzione che lo riconosce e tutela all’articolo 32: il diritto alla salute come diritto fondamentale dell’individuo e, allo stesso tempo, come interesse della collettività. La salute come bene pubblico – avvertiva il Presidente della Repubblica Mattarella durante l’inaugurazione dell’anno accademico 2021/2022 dell’Università degli studi di Pavia – «richiama alla responsabilità sociale e, in questo periodo, al dovere morale e civico della vaccinazione» poiché si tratta dello «strumento che in grande velocità la comunità scientifica ci ha consegnato per sconfiggere il virus e [che] sta consentendo di superarne le conseguenze non solo di salute ma anche economiche e sociali».
Per quel bene pubblico – e, un po’, anche per il nostro bene individuale – ci siamo vaccinati, ma non senza paura. Mi riferisco alla paura delle conseguenze dannose per la salute individuale che possono derivare da un trattamento sanitario.
Verosimilmente e – oserei dire – fisiologicamente, in quei mesi, l’inquietante domanda «quali effetti negativi potrà avere il vaccino anti-Covid su di me?» ha accompagnato ognuno di noi, complice anche la diffusione mediatica di notizie fuorvianti.
Eppure, la paura degli effetti dannosi della vaccinazione non è una novità della pandemia da Covid-19. Così come non è una novità la presenza, più o meno remota, di rischi conseguenti alle vaccinazioni. In piena pandemia, le circostanze temporali e quantitative (dato l’elevatissimo numero dei contagi) hanno solo amplificato una paura sociale vecchia, nata con l’invenzione dei vaccini stessi.
Ma la soluzione contro la paura non può essere, mai, l’astensionismo vaccinale. Al contrario, la risposta che il Legislatore – sollecitato dalla Corte costituzionale (sent. n. 307/1990) – ha individuato, con legge n. 210 del 1992, è un sistema di sicurezza sociale con scopo solidaristico, fondato sulla tutela indennitaria in favore dei soggetti irrimediabilmente danneggiati a causa di vaccinazioni obbligatorie (così, letteralmente, l’art. 1 comma 1).
Tale sistema persegue l’obiettivo di realizzare un equo bilanciamento tra la dimensione collettiva della salute e la dimensione individuale, affinché il soggetto danneggiato non sopporti, da solo, tutte le conseguenze negative del trattamento sanitario a cui è stato sottoposto anche nell’interesse della collettività. In altre parole, nell’impossibilità di azzerare i rischi per la salute individuale connessi alla vaccinazione e nell’irrinunciabilità della soluzione vaccinale, il Legislatore ha previsto un equo ristoro per i (recessivi) casi in cui tali rischi si avverino. Si tratta di una forma di protezione successiva e monetaria, per sua natura imperfetta. Ma – come si suol dire – piuttosto che niente, è meglio piuttosto.
Più nel dettaglio, la predetta legge ha originariamente riconosciuto il diritto all’indennizzo da parte dello Stato a quanti abbiano riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica (art. 1).
L’ambito di applicazione della tutela indennitaria risultava ben circoscritto sia sotto il profilo del tipo di danno ristorabile (e sotto tale profilo, lo è tuttora) - solo lesioni o infermità di intensità tale da aver determinato una menomazione permanente della salute -, sia sotto il profilo del tipo di vaccinazione a cui il danno è causalmente riconducibile - solo quella obbligatoria.
Sotto quest’ultimo profilo, la Corte costituzionale, con diverse pronunce, ha allargato il riconoscimento del diritto all’indennizzo anche a fronte di gravi e irreversibili danni all’integrità psico-fisica insorte a seguito di alcune, puntualmente individuate, vaccinazioni non obbligatorie, ma raccomandate: «così, in particolare, con le sentenze n. 27 del 1998 (quanto alla vaccinazione, allora solo raccomandata, contro la poliomielite), n. 423 del 2000 (con riferimento alla vaccinazione, anch’essa allora solo raccomandata, contro l’epatite B), n. 107 del 2012 (in relazione alla vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia), n. 268 del 2017 (con riguardo alla vaccinazione antinfluenzale) e n. 118 del 2020 (per la vaccinazione contro l’epatite A)» (secondo la ricostruzione attentamente svolta da Corte cost. nella sent. n. 35/2023).
Il succedersi, nel tempo, di diverse decisioni della Corte costituzionale rende efficacemente l’idea di una materia viva, in continua evoluzione nella direzione dell’espansione, seppur ponderata e limitata. Dove espansione soggettiva del diritto all’indennizzo (ossia di chi e quando lo può richiedere) significa rafforzamento della tutela del diritto alla salute, nella veste di diritto fondamentale dell’individuo. Diritto che, per quanto fondamentale, non è mai assoluto, dovendo sempre essere bilanciato con altri interessi.
In questa cornice dinamica, si collocano alcuni recenti interventi, normativi e giurisprudenziali, in tema di indennizzo per danni da vaccinazione.
Quanto ai primi, ci si limita ad osservare che, con Decreto-legge n. 4 del 27 gennaio 2022 (c.d. Decreto Sostegni ter), convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2022, n. 25, è stato introdotto il nuovo comma 1-bis all’art. 1 della L. 210/1992, secondo cui: «l’indennizzo di cui al comma 1 spetta, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge, anche a coloro che abbiano riportato lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione anti Sars-CoV-2 raccomandata dall’autorità sanitaria italiana».
Vale la pena precisare che la novella, nel solco della predetta giurisprudenza costituzionale, aggiunge puntualmente un altro specifico caso in cui è possibile richiedere l’indennizzo per danni derivanti da vaccinazione non obbligatoria, ma solo raccomandata: quella anti Sars-CoV-2. Non estende, invece, l’area dei danni indennizzabili, ancora limitata alle complicanze permanenti e irreversibili alla salute: non rilevano, dunque, disturbi o malattie meramente transitori. Del resto, l’indennizzo è previsto «alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge».
La scelta del Legislatore di modificare direttamente il testo della legge, rimuovendo prontamente ogni incertezza, invece che attendere la decisione additiva della Corte costituzionale, si spiega in ragione del contesto emergenziale rappresentato dalla pandemia da Covid-19.
Quanto ai secondi, si segnala, ancora, un certo protagonismo della Corte costituzionale intervenuta in materia con la sentenza n. 35 del 2023 e chiamata ad intervenire, prossimamente (la Camera di consiglio è fissata per il 19 aprile 2023), sull’ordinanza di rimessione della Corte di cassazione, sezione Lavoro, del 30 maggio 2022, n. 17441 (iscritta al n. 133 del registro delle ordinanze e pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 16/11/2022).
L’ordinanza della Corte di cassazione, la n. 17441 del 2022, ha di mira l’ulteriore estensione della protezione indennitaria con specifico riferimento ai danni da vaccinazione antimeningococcica, vaccinazione non obbligatoria, ma solo raccomandata. A tal fine, la Cassazione dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1 comma 1 della L. 210/1992 nella parte in cui «non prevede che il diritto all’indennizzo, istituito e regolato dalla stessa legge e alle condizioni ivi previste, spetti anche ai soggetti che abbiano subito lesioni e/o infermità, da cui siano derivati danni irreversibili all’integrità psicofisica, per essere stati sottoposti a vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, antimeningococcica».
In altre parole, la Suprema Corte sollecita un nuovo intervento manipolativo della Corte costituzionale, finalizzato ad aggiungere la vaccinazione antimeningococcica a quelle raccomandate ma comunque indennizzabili, oltre il limite dell’art. 1 comma 1 L. 210/1992 (che si riferisce, espressamente, solo alle vaccinazioni obbligatorie).
La mancata previsione del diritto all’indennizzo nel caso di specie si tradurrebbe, analogamente agli altri casi succitati, oggetto delle precedenti decisioni della Corte costituzionale, nella «lesione degli artt. 2 e 32 Cost.: le esigenze di solidarietà costituzionalmente previste e la tutela del diritto alla salute del singolo richiedono che sia la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio da questi subito e costituirebbe, per contro, un vulnus addossare all’individuo danneggiato il costo del beneficio anche collettivo dell’immunizzazione».
La Cassazione chiede, in altri termini, alla Consulta di allungare l’elenco delle vaccinazioni non obbligatorie indennizzabili.
In attesa di prendere posizione su tale questione, la Corte costituzionale ha rafforzato la protezione indennitaria sotto un altro profilo: quello delle modalità (temporali) con cui il danneggiato è tenuto a esercitare il diritto all’indennizzo. In particolare, con sentenza n. 35 del 2023, la Corte ha ritenuto incostituzionale la norma – art. 3 comma 1 L. 210/1992 - che fa decorrere il termine triennale di decadenza per la richiesta di indennizzo del danno vaccinale da quando l’avente diritto ha avuto conoscenza del danno e non anche della sua indennizzabilità. Solo a partire dal momento in cui il danneggiato ha saputo dell’indennizzabilità del danno subìto, può iniziare a decorrere il termine decadenziale. Prima di tale momento, del resto, non sarebbe nemmeno possibile far valere il diritto all’indennizzo.
La conoscenza del danno – precisa la Corte costituzionale – normalmente presuppone non solo la consapevolezza della menomazione permanente e della sua riconducibilità causale alla vaccinazione ma anche della sua rilevanza giuridica, e cioè della possibilità di azionare il diritto all’indennizzo.
Non sempre, tuttavia, il momento della conoscenza del danno coincide con quello della sua rilevanza giuridica: in alcuni casi, infatti, può accadere che il diritto all’indennizzo non sia previsto dalla legge al momento dell’esteriorizzazione del danno ma che venga riconosciuto successivamente per effetto di una modifica legislativa (come quella, succitata, apportata dal Decreto-legge n. 4 del 2022) o di una pronuncia manipolativa della Corte costituzionale (come quelle, sopra menzionate, con cui la Consulta ha progressivamente esteso l’ambito di applicazione della tutela indennitaria a singole fattispecie di vaccinazioni raccomandate).
A fronte di una prestazione indennitaria “nuova” ovvero di una “nuova” categoria di beneficiari – osserva la Consulta - il termine di tre anni previsto dall’art. 3 comma 1 L. 210/1992 per la presentazione della domanda non può decorrere comunque dal pregresso momento di conoscenza del danno, poiché ne deriverebbe una limitazione temporale che, collidendo con la garanzia costituzionale del diritto alla prestazione, ne vanifica l’esercizio.
In tali casi, infatti, quando il danno viene ritenuto indennizzabile (dal Legislatore o dalla Corte costituzionale), il termine triennale, con decorrenza dalla conoscenza del danno, potrebbe anche essere già decorso: il danneggiato non potrebbe far valere il suo diritto all’indennizzo a causa della decadenza maturata. Insomma, per rispettare il termine di cui all’art. 3 comma 1 L. 210/1992, il danneggiato – e qui il paradosso rilevato dalla Corte costituzionale – avrebbe dovuto azionare il diritto quando lo stesso non era ancora riconosciuto come tale.
È quanto è accaduto nel caso oggetto del giudizio a quo (ossia quello da cui ha avuto origine la questione di legittimità costituzionale): quando la Corte costituzionale, con la sentenza n. 107 del 2012, ha riconosciuto il diritto all’indennizzo per i danneggiati da vaccinazione (all’epoca solo raccomandata) antimorbillosa, il termine triennale di cui alla norma censurata era già decorso per la minore irrimediabilmente lesa, anni prima, in conseguenza di tale vaccinazione.
Perché sia garantita l’effettività del diritto costituzionale alla provvidenza di tutti soggetti danneggiati da vaccinazioni (anche quelle raccomandate e puntualmente individuate dalla Corte costituzionale) – conclude la Corte - il termine perentorio di tre anni per la presentazione della domanda deve decorrere dal momento in cui l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza dell’indennizzabilità del danno.
Insomma, l’estensione della protezione indennitaria a nuove categorie di danneggiati, per non tradursi in una mera dichiarazione di principio, ha imposto di ripensare il regime di decorrenza del termine decadenziale di cui all’art. 3 comma 1 L. 210/1992. La Corte costituzionale ha prontamente colto l’occasione, rafforzando la tutela indennitaria con un intervento necessariamente complementare al riconoscimento di nuove vaccinazioni indennizzabili.
Se il nodo centrale della disciplina è, ora, la conoscenza dell’indennizzabilità del danno subìto diventa (ancor più) essenziale l’attività informativa dei tecnici del diritto, primi tra tutti, gli avvocati. Chiamati, oltre ad una seria attività informativa, anche ad un attento mandato difensivo. Del resto, il ruolo del difensore è proprio quello di garantire, attraverso la tutela del diritto di difesa, l’effettività dei diritti della persona. Tra cui il diritto all’indennizzo di cui alla L. 210/1992, contrappeso del dovere civico alla vaccinazione.
