Gli infermieri scrivono ai candidati lecchesi: "Cambiare rotta per salvare la sanità"
Di Fabio Fedeli, Presidente Ordine delle Professioni Infermieristiche di Lecco
Di Fabio Fedeli, Presidente Ordine delle Professioni Infermieristiche di Lecco
Carissimi Candidati,
a voi che presentate la candidatura nei collegi comprendenti la nostra Provincia desidero indirizzare questa lettera aperta. Desidero farlo innanzitutto per ringraziarvi per la volontà di mettervi al servizio della comunità, mettendo a disposizione le vostre competenze, la vostra passione e la vostra professionalità. Desidero farlo anche per chiedervi di ascoltare i professionisti sanitari con le loro istanze che si alzano con la prorompenza di urlo ormai, dopo anni di fatica e senso abbandono. Già, abbandono. Perché gli appelli lanciati già in periodo pre-pandemico parlavano di carenza infermieristica e di un Sistema che si reggeva “sulle spalle di pochi” e che quei pochi cominciavano a non reggerne il peso. E, dopo che la pandemia ha evidenziato questo peso dettato da innumerevoli problemi, a molti proclami non sono seguiti riconoscimenti concreti. Serve un cambio di rotta deciso, con interventi sia nell’immediato sia volti al futuro. Altrimenti la carenza attuale di professionisti infermieri rischia di trasformarsi in totale assenza. E a quel punto ospedali, case di comunità, ambulatori, RSA, RSD e tutti i luoghi dove c’è bisogno di cura senza i propri professionisti rimarrebbero solo delle mura fredde e vuote.
Pochi infermieri e pochi si candidano ad esserlo
I numeri parlano chiaro. L’Italia ha uno dei rapporti Infermieri-Abitanti fra i più bassi dell’area OCSE (6,2 Infermieri per 1000 abitanti, contro una media di 8,8). Sempre meno diplomati scelgono il corso di laurea in infermieristica. In alcune zone si fatica a saturare i posti messi a bando e negli ultimi anni la media è stata inferiore a 1,5 candidati per ogni posto messo a bando. Da qui si evince che la soluzione per il futuro non può essere rappresentata dal solo aumentare i posti alle Università o dall’ eliminazione del numero chiuso (soluzione, quest’ultima, che personalmente ritengo poco applicabile per una formazione che ha bisogno di strutture qualificate per i tirocini, per i laboratori e le lezioni in presenza). A questo si aggiungono altri due grossi fattori: l’abbandono professionale, fenomeno accentuato in questi ultimi due anni, e la “fuga verso l’estero”, che ha visto migliaia di colleghi emigrare in cerca di migliori condizioni lavorative, retributive e di carriera. Il territorio della nostra provincia non è esente dalla problematica. Molti colleghi scelgono la vicina Svizzera, altri decidono di fare concorsi in altre zone d’Italia per i più svariati motivi e le strutture sociosanitarie del territorio, RSA in primis, hanno grosse difficoltà a reperire personale (ricordiamo che gli infermieri non operano solo all’interno delle strutture ospedaliere per acuti, ma di loro c’è grande bisogno sul territorio e in diverse tipologie di strutture assistenziali).
Attrattività della professione
Per intervenire sulla carenza bisogna fare in modo che i giovani scelgano il percorso formativo per diventare infermieri e che chi già lo è non abbandoni la professione o non si veda costretto a cedere alle sirene estere. Seguendo il già citato rapporto OCSE gli stipendi degli infermieri italiani sono vicini al fanalino di coda. Ma non si tratta solo di una questione economica. In Italia al momento non vi è possibilità di una progressione di carriera nella pratica clinica. Nonostante da anni la formazione si sia evoluta, vi siano colleghi che proseguono la formazione post base conseguendo corsi di perfezionamento, master, laurea magistrale e dottorato di ricerca. E nonostante mettano in campo delle competenze che sono già esperte o specialistiche, hanno lo stesso inquadramento contrattuale di quando hanno iniziato. Cosa che in altri Paesi non avviene. Vi è poi la questione dei modelli assistenziali. Siamo molto lontani dall’avere il giusto rapporto infermiere-assistito che permetta di garantire la migliore assistenza possibile. I bisogni di assistenza sono molto cambiati negli ultimi anni (si vive di più, ma spesso con patologie croniche ad esempio) e non ci si può più basare su paradigmi che prevedono un “minutaggio” per l’assistenza, oltretutto tarato su una tipologia di assistito che non è coerente con quella dei giorni nostri. A gravare sul lavoro dei professionisti sanitari è anche il fenomeno della violenza diretta contro di loro. Oltre l’80% degli infermieri riferisce di aver subito aggressioni fisiche e verbali sul luogo di lavoro. Dai dati INAIL si evince che gli episodi di violenza siano circa 5000 in un anno, tuttavia il fenomeno è largamente sottostimato se pensiamo che la maggior parte di violenze verbali non viene segnalato. Inutile aggiungere che la carenza di personale sia un fattore aggravante lo stress di chi pratica la professione (riposi e ferie non usufruiti, carichi di lavoro maggiorati…).
Un cambio di paradigma
Appare anche utile e urgente ridisegnare la Sanità. Si è tanto parlato di potenziare la rete territoriale. Numeri alla mano l’assistenza di prossimità, potenziata con l’inserimento degli infermieri di famiglia e comunità, ha dimostrato di poter ridurre gli accessi impropri alle strutture di emergenza urgenza e perfino di ridurre le ospedalizzazioni, riducendo così la pressione sulle strutture. Anche per questo è fondamentale valorizzare le competenze e adeguare il numero dei professionisti sanitari. Per avere un Servizio Sanitario che possa rispondere alle necessità dei cittadini, in ogni luogo in cui ce ne sia bisogno. Carissimi Candidati, concludo questa lunga lettera facendovi i migliori auguri per il vostro percorso politico e rinnovandovi l’invito a non lasciarci inascoltati. Si rimane a disposizione per qualsiasi occasione di confronto.
Cordiali Saluti
Fabio Fedeli
Presidente OPI Lecco
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