"Mio marito, finito in rianimazione per il Covid, costretto dall'ospedale a pagare il ticket"
La testimonianza di una cittadina sdegnata: "La legge va applicata con buon senso, altrimenti è solo cecità"
"Mio marito, finito in rianimazione per il Covid, costretto dall'ospedale di Lecco a pagare il ticket". Riceviamo e pubblichiamo integralmente la lettera di una lettrice.
Sono una cittadina lecchese, vi scrivo per raccontare un’odissea e un grave, a mio parere, disservizio subito, che certamente avrà toccato anche altri cittadini del nostro territorio.
Lo scorso 24 febbraio, a pochissimi giorni dalla scoperta del primo caso di Coronavirus in Italia, mio marito inizia a non stare bene, febbre e tosse. Subito avverto il mio medico di base, che prontamente inizia a seguire l’andamento di questa influenza. Passano i giorni ma la situazione non migliora, nonostante le cure (comprese due dosi di un antibiotico piuttosto forte) che però sembrano non avere alcun effetto.
Domenica 1 marzo, sempre in accordo con il mio medico di base, viste le condizioni, decidiamo di andare all’Ospedale, a Lecco. Viene effettuato un esame del sangue e una radiografia ai polmoni, ma niente tampone. I medici decidono di rimandare a casa mio marito in codice bianco, nonostante febbre a 38.5 e tosse continua.
Veniamo al 3 marzo. Completamente esausto da febbre e tosse continua mio marito viene ricoverato. Gli sarà effettuato un tampone a cui risulterà positivo e finirà in rianimazione. Grazie al cielo si è salvato e siamo grati a tutti quei medici, infermieri, operatori, rianimatori, che ci hanno aiutato in una fase così buia e terrificante.
Il mio più grande ringraziamento va al nostro medico di base Claudio Mossi, che ci ha sostenuto senza mai guardare se era sabato o domenica, senza mai guardare l’orologio, rincuorandoci sempre.Purtroppo però, da qui il mio sdegno, a maggio ricevo una lettera dall’Ospedale nella quale mi viene richiesto il pagamento del ticket del codice bianco, 25 euro. Provo a spiegare la mia situazione, dicendo che era chiaro che mio marito fosse positivo già dalla nostra prima visita in ospedale domenica 1 marzo e che se gli fosse stato fatto il tampone con ogni probabilità avrebbe quantomeno evitato la rianimazione. Inutilmente. In data 13 luglio infatti mi è arrivata un’altra lettera: nonostante le mie rimostranze, devo pagare il ticket, per legge. Chiamo ancora per avere ulteriori chiarimenti, mi è stato spiegato che quando ho portato mio marito in Ospedale l’emergenza Covid non era ancora scoppiata e allora le disposizioni non erano ancora quelle di effettuare tamponi su tutti i soggetti con sintomi influenzali.
Il mio pensiero: la legge va applicata con buon senso, altrimenti è solo cecità. Ogni caso va osservato, secondo criteri di valutazione che variano da situazione a situazione: è chiaro che se vado in Ospedale per curare un’unghia incarnita ho il codice bianco, ma se dopo tre giorni mi amputi il piede forse non è il caso di chiedere il pagamento del ticket.
Non voglio prendermela con l’ospedale di Lecco, che è fatto da dottori, operatori, infermieri capaci che lavorano nobilmente, spesso in condizioni non idonee, ma sono arrabbiata con il sistema. I burocrati ciechi ottusi che sviliscono l’operato di tante brave persone.
Una lettrice lecchese