Eccellenze lecchesi

Salumificio Fratelli Beretta, ambasciatore del food "made in Italy"

Un colosso che occupa oltre 2.100 dipendenti ed è sempre alla ricerca di nuovo personale

Salumificio Fratelli Beretta, ambasciatore del food "made in Italy"
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Da 210 anni porta nelle case di tutto il mondo il gusto unico dei nobili salumi della tradizione italiana che si basa su ben 19 produzioni tra IGP e DOP e oltre 500 referenze di marchio proprio. Il Salumificio Fratelli Beretta non è solo un caso di successo, ma un vero ambasciatore del food «made in Italy». Un colosso che produce ogni anno 110 mila tonnellate di salumi, è presente in 73 Paesi, occupa oltre 2.100 dipendenti che lavorano nel 22 stabilimenti (18 in Italia e 4 all’estero) con una superficie produttiva di 285 mila mq e che si avvale di una rete di 140 tra agenti e funzionari commerciali. Un gruppo alimentare che nel 2020 ha conseguito un fatturato consolidato di 948 milioni di euro e che quest’anno ha l’ambizione di superare il tetto del miliardo di giro d’affari.

I prodotti italiani, soprattutto quando si parla di food, sono sempre più apprezzati all’estero…

«Sì – conferma Vittore Beretta, 77 anni, orgogliosamente brianzolo di Barzanò, alla guida del colosso alimentare – Il mondo apprezza moltissimo la salumeria  “made in Italy”, è una crescita costante e che tocca pure la nostra azienda sempre più internazionalizzata. Abbiamo vissuto momenti difficili, come la chiusura negli Anni Settanta per la peste suina imposta a tutta la salumeria Italiana, e abbiamo impiegato vent’anni per convincere le autorità sanitarie straniere a riaprire i mercati, ma quella crisi è stata anche una benedizione perché ci ha insegnato ad essere molto più rigorosi dal punto di vista sanitario e a controllare meglio tutta la filiera produttiva. Lo abbiamo fatto grazie agli investimenti delle aziende e al sostegno dello Stato. E così prima siamo riusciti a conquistare i Paesi europei e poi gli Stati Uniti e tutti gli altri mercati esteri più importanti».

E all’estero avete aperto anche 4 stabilimenti produttivi

«Il primo timido approccio risale al 1997 con l’acquisto di una piccola azienda alimentare a conduzione italiana a South Hackensac nel New Jersey, poi nel 2007 abbiamo aperto a Fresno in California e nel 2016 abbiamo costruito un nuovo e moderno stabilimento a Mount Olive nel New Jersey. A breve costruiremo un quarto grande e tecnologicamente avanzato complesso industriale, sempre nel New Jersey ma dismetteremo il primo e ormai vecchio stabilimento. Negli Usa oggi occupiamo 350 addetti e fatturiamo 200 milioni di dollari. Stiamo crescendo molto anche in Cina dove nel 2014 abbiamo aperto una sede a Ma’anshan nell’Anhhui, ampliata già in due occasioni e che ha raggiunto un giro d’affari di 40 milioni di euro e che occupa 150 dipendenti. Il complesso in Cina è ormai saturo e stiamo pensando ad una estensione. Nei nostri stabilimenti all’estero produciamo salumi all’italiana con carni locali destinate esclusivamente ai mercati locali».

Qual è la quota export del Gruppo Beretta?

«Oggi le nostre esportazioni sono arrivate al 50% del fatturato. Il mercato italiano è stabile, quest’anno dovremmo crescere del 2%, ma all’estero stiamo volando: andiamo bene in un po’ tutti i Paesi europei – dalla Germania alla Francia, dai Paesi scandinavi alla Gran Bretagna - negli Usa stiamo crescendo a doppia cifra mentre in Cina sfioriamo un incremento del 30% annuo. Vendiamo bene i prodotti realizzati sul posto, ma esportiamo con successo anche i salumi della tradizione italiana, soprattutto gli stagionati come San Daniele, Parma e Carpegna, oltre ai cotti».

Come si costruisce un grande caso di successo come Beretta?

«Siamo andati avanti un po’ come il salmone che ha l’istinto di risalire ogni tipo di corrente. Crediamo molto nel nostro lavoro, nella nostra azienda e nei nostri collaboratori. Abbiamo la fortuna di vivere in un Paese e in una regione dove le risorse umane sono un valore aggiunto. Soprattutto qui da noi, in Brianza. Quando apriamo uno stabilimento all’estero i nostri migliori collaboratori fatto da tutor, spiegano ai dipendenti del posto tutti i segreti di come si lavora. Ci affidiamo a personale italiano, e brianzolo in particolare, pure per tutte le operazioni e la realizzazione degli impianti di stagionatura, macinatura, essiccatoi: ci avvaliamo di imprese artigiane, impiantisti, montatori, elettricisti, esperti di tecnologia. Siamo sempre un passo avanti».

Cercate nuovi collaboratori?

«Sempre. Ogni anno assumiamo nuovo personale. Siamo molto legati ai nostri collaboratori, anche se siamo cresciuti molto cerchiamo sempre di avere un rapporto costante e costruttivo. Da noi non esistono differenze tra uomo e donna – sono ormai al 50% - neppure nelle retribuzioni e poi rappresentiamo il mondo con ben 25 nazionalità diverse senza alcun problema. Abbiamo dato vita a una bella Academy per formare e qualificare il personale. Un’Academy che oggi ci viene chiesta anche da alcune catene della GdO per formare il loro personale e in particolare banconieri».

Il successo sta pure nel controllo di tutta la filiera…

«Questa è una caratteristica fondamentale del Gruppo Beretta: la filiera parte dall’allevamento, prosegue con la macellazione, l’utilizzo della carne certificata – anche quella proveniente dai nostri fornitori – e termina con la produzione e la stagionatura dei prodotti. Nel 2014 siamo stati tra le primissime aziende italiane a investire negli allevamenti: abbiamo protocolli rigidi nell’”animal welfare” e garantiamo un’alimentazione senza antibiotici per alcune nostre produzioni. Se il maiale viene seguito da personale specializzato, alimentato correttamente, vive bene in spazi ampi e in un ambiente arieggiato, curato, pulito e sostenibile… la carne è migliore».

Oggi si parla tanto di sostenibilità, di rivoluzione verde e di transizione ecologia, ma come declina questi obiettivi la Beretta?

«Lo facciamo con la grande cura nella scelta delle materie prime in entrata, con il controllo dei processi produttivi, dell’automazione e della rigorosissima tutela sanitaria. Stiamo investendo per alleggerire il packaging e identificare materiali alternativi. La plastica, nell’industria alimentare, anche per le normative vigenti, rappresenta ancora una fetta importante; noi l’abbiamo ridotta e affiancata da materiale riciclato, ma – un po’ come tutto il comparto - siamo ancora a metà del guado. Negli ultimi anni, infine, abbiamo lanciato prodotti nuovi come “Puro Beretta” che non usano antibiotici e che stanno ottenendo un grande successo tra i consumatori».

Nel 2020 avete acquisito la quota dei francesi Fleury Michon con i quali avevate avviato la joint venture di Viva La Mamma e che rappresenta il 10% del fatturato del Gruppo Fratelli Beretta. Perché? E come sta andando il settore dei piatti freschi dopo il lockdown?

«I partner francesi hanno deciso di disinvestire, mentre noi credevamo e crediamo ancora in questo settore. E infatti quest’anno il fatturato, dopo un 2020 complicato, sarà superiore a quello del 2019. Abbiamo fatto una grande opera di razionalizzazione, stiamo facendo il restyling del marchio, ma siamo convinti che piatti pronti, tramezzini, sughi, prodotti a base di maionese – distribuiti attraverso la GdO – hanno ancora uno spazio di crescita interessante».

Il Gruppo è giunto all’ottava generazione. Un record. Lei è alla guida del CdA che comprende anche il figlio Lorenzo e i nipoti Alberto, Giorgio e Mario, ma come fa la famiglia Beretta ad andare d’accordo dopo 210 anni di attività? Qual è il segreto?

«C’è una fortuna prolungata… Alla base di tutto c’è una grande passione per il nostro lavoro e per la nostra azienda, la capacità di ascoltare il passato e vedere il futuro. L’unità d’intenti è una conseguenza».

Un gruppo così forte, innovativo e internazionalizzato sarà stato oggetto di qualche offerta di un concorrente o di un fondo…

«Offerte ne riceviamo ogni mese, ma siamo concentrati sul nostro lavoro. Noi poi ragioniamo a medio e lungo termine. I marchi più importanti li abbiamo acquisiti, per crescere ampliamo gli stabilimenti ogni anno, le fabbriche devono essere sempre aggiornate: l’anno scorso abbiamo investito 50 milioni e lo stesso stiamo facendo quest’anno».

Neppure un pensiero alla quotazione in Borsa?

«E’ un’opportunità che ci è stata presentata, non escludiamo nulla, guardiamo sempre tutto e poi decidiamo. Al momento però andiamo avanti da soli».

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