Pandemia e guerra: come sta cambiando il mondo del lavoro
Dionigi Gianola, lecchese, Strategic Selling Director di Gi Group, conosce molto bene come si muove l'economia

Come sta cambiando il lavoro dopo la pandemia? E quali ripercussioni avrà la sanguinosa invasione dell'Ucraina decisa da Putin? Dionigi Gianola, lecchese, Strategic Selling Director di Gi Group, conosce molto bene come si muove l'economia e come sta cambiando il mondo del lavoro.
Dopo il Covid e nel mezzo di una guerra le aziende assumono ancora. Se sì, quali sono le figure professionali maggiormente richieste?
«A livello nazionale un’azienda su tre non trova le competenze che cerca; in provincia di Lecco per alcune figure specializzate questo problema ce l’ha un’azienda su due. Il dato è impressionante e apre ad una lunga riflessione sul sistema della formazione, il rapporto con il sistema delle imprese e l’approccio delle nuove generazioni al mondo del lavoro. Vent’anni fa si diceva che un ragazzino che iniziava la prima elementare probabilmente avrebbe fatto un lavoro la cui professione non esisteva, oggi tutto è ancora più accelerato e la visibilità si è di gran lunga accorciata. Rispetto alle figure più ricercate sul nostro territorio, essendo ancora alta la vocazione manifatturiera sono operai generici, fresatori, addetti alle macchine a controllo numerico, carrellisti, saldatori; si aggiungono figure in ambito informatico ed elettrotecnico ma anche in ambito servizi e ristorazione c’è una carenza di offerta. Questa situazione genera molte opportunità anche perché, con l’avvento della tecnologia e dell’informatica, molti ruoli ritenuti adatti solo a figure maschili, oggi sono accessibili a tutti. Per questo, come Gi Group, abbiamo lanciato un’iniziativa, Women4 proprio per favorire l’ingresso delle figure femminili nel mondo della logistica ed in altri settori».
Cosa fa un'agenzia per il lavoro come Gi Group per fare dialogare meglio domanda e offerta, mondo della scuola e mondo dell'impresa?
«Nel mercato del lavoro è in atto una tendenza di fondo, che va ben al di là di provvedimenti normativi contingenti: le aziende hanno esigenze sempre più complesse in merito alla gestione delle risorse umane: la gestione della flessibilità, l’acquisizione e il mantenimento delle competenze, l’attrazione e l’engagement dei collaboratori, l’adozione di nuovi modelli organizzativi. I nostri clienti sempre di più ci coinvolgono proprio perché hanno bisogno di soluzioni sempre più complesse. In tal senso il nostro lavoro sta cambiando. Non siamo solo degli intermediari ma degli operatori che fanno la differenza nella capacità di definire e implementare strategie di sviluppo e gestione delle risorse umane lungo tutto il ciclo di vita della relazione persona/azienda; inoltre, il nostro ruolo non si limita a sviluppare i bisogni specifici delle singole aziende e dei singoli candidati ma diventa motore per lo sviluppo del mercato del lavoro che, in ogni territorio, ha le proprie specificità. Siamo sempre di più un attore strategico nel promuovere e favorire il “lavoro sostenibile” per le persone, per le organizzazioni e per le istituzioni, grazie alla capacità di supportare un efficace incontro fra domanda e offerta di lavoro, progettare soluzioni innovative e complesse di gestione della flessibilità e di gestione di percorsi di “transizione”, contrapporsi al lavoro nero e fintamente regolare (appalti non genuini) e all’evasione contributiva attraverso soluzioni che coniugano la flessibilità necessaria alle imprese con quella di sicurezza dei lavoratori. Il nostro settore è, di fatto, una politica attiva strutturale. Sappiamo orientare le persone nelle scelte professionali, valutarne le competenze e sostenerle nell’inserimento nel mondo del lavoro adottando approcci diversificati per età, esperienze e bisogni; sappiamo creare percorsi formativi ad hoc “efficaci” per qualificare e ri-qualificare le persone in coerenza alle reali esigenze del mercato creando, quando necessario, percorsi diretti a formare competenze professionali che non si trovano sul mercato».
Lo smart working esploso durante il lockdown resta una modalità molto diffusa e che piace. Stiamo andando verso un lavoro sempre più ibrido?
«Lo smart working deve entrare nei processi e nella cultura aziendale. Deve essere visto come uno strumento che responsabilizza aziende e lavoratori nell’attuare forme nuove di utilizzo dello spazio e del tempo senza ostacolare crescita professionale, umana e soprattutto relazionale. Modalità e orario di lavoro (es. flessibilità, smartworking, conciliazione tempi) sono i fattori principali per rimanere nella realtà in cui si lavora secondo il 39,98% degli intervistati da una ricerca interna, secondo solo alla retribuzione che rimane ancora oggi il primo».
Nell'ultimo anno, soprattutto negli Usa, è esploso il fenomeno della Great Resignation, cioè dipendenti, soprattutto Under 30, che riconsiderano le proprie priorità e si dimettono volontariamente dai loro posti di lavoro. E' un fenomeno che sta aumentando anche in Italia?
«Anche in Italia, come in altri paesi evoluti, stanno cambiando gli stili di vita e questo fenomeno non riguarda solo gli Under 30 ma anche i manager e le figure più specializzate. E’ sempre più importante costruire ambienti e regole di lavoro capaci di cogliere questi cambiamenti. La flessibilità e il welfare sono due leve che attraggono molto i lavoratori della generazione Z, per i quali i temi della sostenibilità a partire dalla diversity & inclusion e della responsabilità sociale sono talvolta più importanti di un aumento della retribuzione. Se ben gestiti, questi cambiamenti possono essere un’opportunità per migliorare sia la competitività delle aziende che l’engagement dei lavoratori. Purtroppo stiamo assistendo anche ad un fenomeno che non ha nulla di positivo…..le politiche assistenziali come il reddito di cittadinanza, se applicate e usate male diventano un’alternativa comoda, seppur deleteria, anche per chi un lavoro ce l’ha…».
L'Italia non è un Paese per giovani talenti. La Corte dei Conti, nel suo Referto sul sistema universitario 2021, ha fotografato che negli ultimi otto anni c'è stato un aumento del 41,8% dei trasferimenti per lavoro. Cosa possiamo fare per trattenere i "cervelli in fuga"?
«La vera sfida è fare conoscere le tantissime aziende eccellenti che abbiamo nel nostro Paese, aiutarsi a creare ambienti di lavoro e di vita stimolanti, regole più semplici e coerenti con i bisogni di oggi. Siamo presenti in oltre 50 Paesi nel mondo e, sinceramente, possiamo dire che abbiamo tantissimo da offrire ai giovani ma poi ci scontriamo con un sistema di regole, servizi al lavoro, modalità di gestione delle risorse umane obsolete. Detto questo, se siamo capaci di mettere in campo politiche per far sì che i giovani abbiano il desiderio di rientrare in Italia, l’esperienza all’estero ha un valore eccezionale. Avere giovani che fanno esperienza all’estero, che arricchiscono il loro bagaglio di conoscenza e che poi rientrano in Italia, è un grande contributo per le crescita del nostro Paese. L’impatto dei giovani che vanno all’estero è poi, purtroppo, amplificato dal nostro trend demografico ormai drammatico anche per gli effetti sul mercato del lavoro».