Il processo prosegue

Omicidio di Sharon Verzeni, Moussa Sangare ritratta di nuovo: “Non l’ho uccisa io”

"Ho ammesso il delitto solo perché ero stressato e credevo che mi avrebbero lasciato andare" afferma il presunto killer della 33enne

Omicidio di Sharon Verzeni, Moussa Sangare ritratta di nuovo: “Non l’ho uccisa io”

Ennesimo colpo di scena nel processo per l’omicidio di Sharon Verzeni, la giovane barista 33enne uccisa a coltellate nella notte tra il 29 e il 30 luglio 2024 a Terno d’Isola mentre passeggiavaDavanti alla Corte d’Assise di Bergamo, infatti, Moussa Sangare, 31 anni, detenuto con l’accusa di essere l’autore del delitto, sentito nella giornata di oggi, lunedì 10 novembre 2025, ha cambiato versione: ha negato ogni responsabilità, prendendo le distanze dalla confessione resa nei giorni successivi all’arresto.

Omicidio di Sharon Verzeni, Moussa Sangare ritratta: “Non l’ho uccisa io”

«Passavo di lì in bicicletta – ha dichiarato in aula – e ho visto Sharon litigare con un uomo. Ho capito subito che poteva finire male e non volevo essere coinvolto. Così ho accelerato e me ne sono andato». Sangare ha poi spiegato di essersi liberato dei vestiti e di un coltello «per paura di essere sospettato di qualcosa che non avevo fatto».

Alla domanda del pubblico ministero su come giustificasse la precedente confessione, l’imputato ha risposto: «Me l’hanno detto i carabinieri. Ho ammesso il delitto solo perché ero stressato e credevo che mi avrebbero lasciato andare». Secondo la sua nuova versione, l’assassino sarebbe «qualcuno del posto, uno che conosce bene le zone senza telecamere».

Un punto rimane però senza spiegazione: il DNA misto di Sharon e di Sangare rinvenuto sulla bicicletta usata quella notte. «Questa – ha ammesso – è l’unica cosa che non riesco a spiegarmi».

Il commento dei famigliari di Sharon Verzeni

Fuori dal tribunale, parole di dolore e amarezza da parte della famiglia Verzeni. «Pur avendone avuto la possibilità, non ha voluto chiedere scusa – ha commentato Bruno Verzeni, padre di Sharon – Ha preferito dire che non è lui il colpevole. Questo ci rattrista profondamente: vogliamo solo che si faccia giustizia, ma abbiamo visto che non prova alcun rimorso, e questo ci fa molto male».

Il processo proseguirà nelle prossime settimane con l’ascolto di nuovi testimoni e l’esame delle prove tecniche raccolte dagli inquirenti.

L’omicidio, le indagini e l’arresto di Sangare

Teatro dell’omicidio è stata, come detto, via Castegnate a Terno d’Isola, la notte tra il 29 e il 30 luglio 2024. Poco dopo la mezzanotte, la giovane barista era intenta a camminare lungo le vie del paese, a poca distanza da casa, come era solita fare durante le notti insonni. Nelle orecchie le cuffiette per ascoltare la musica. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che di li a poco si sarebbe consumata una vera e propria tragedia.

Erano le 00.53 quando la donna, a terra, sanguinante, è riuscita ad impugnare il telefono e chiamare il 118. “Mi ha accoltellata” le uniche parole che ha pronunciato ai soccorritori, prima di essere soccorsa da alcune persone di passaggio e una residente. Colpita da una serie di coltellate al torace, all’addome e alle spalle, la giovane morì poco dopo al Pronto soccorso dell’Ospedale Papa Giovanni di Bergamo. Troppo profonde le ferite riportate.

Nelle ore seguenti, i Carabinieri della Compagnia di Zogno diedero il via ad una serie di indagini serrate, che hanno visto i militari impegnati per diverse settimane nel passare al setaccio ogni possibile pista per riuscire a dare un volto all’assassino. In un primo momento, gli uomini dell’Arma hanno chiesto al Comune le immagini delle telecamere di videosorveglianza pubblica, per cercare di ricostruire l’accaduto, mentre sul campo si sono perlustrate le zone attorno all’area dell’omicidio alla ricerca dell’arma del delitto che, inizialmente, si sospettava essere stata abbandonata nei dintorni.

L’autopsia e i dettagli di quell’efferata aggressione

Qualche giorno più tardi dall’omicidio, il 1° agosto  2024, è stata eseguita l’autopsia sul corpo di Sharon. Ne è emerso che la giovane non si è difesa ed è stata colpita da quattro coltellate, di cui tre mortali. Una inferta frontalmente, mentre le altre due alla schiena, con lesione dell’area polmonare e conseguente emorragia interna, che le è stata fatale. Sulle braccia non sono stati trovati tagli che potessero ricondurre a un tentativo di parare i colpi con l’arma, ma su uno ci sarebbero delle ecchimosi compatibili o con una presa o con l’effetto delle manovre di soccorso successive all’aggressione. Sono stati poi anche prelevati diversi campioni di materiale biologico che, insieme ai vestiti, sono stati inviati al Ris per le analisi e la ricerca del Dna. Sabato 3 agosto 2024,  nella chiesa parrocchiale di Bottanuco, sono stati invece celebrati i funerali della barista 33enne. Quel giorno, sia a Terno d’Isola che nella sua Bottanuco è stato dichiarato il lutto cittadino.

Le indagini a tappeto

La vicenda tenne l’opinione pubblica con il fiato sospeso per un mese intero, ma fu anche un vero rompicapo per gli inquirenti. Oltre trenta giorni di indagini serrate, su più piste, che ne fecero un vero giallo, fino alla cattura del sospettato, Moussa Sangare.

Il primo obiettivo delle indagini fu quello di ritrovare l’arma del delitto. Per riuscirci, i Carabinieri del Nucleo investigativo di Bergamo bloccarono per alcune giornate la raccolta differenziata dei rifiuti nell’ipotesi che l’arma potesse essere stata buttata in qualche cestino o cassonetto in paese. Anche il sindaco Gianluca Sala, attraverso i canali social del Comune di Terno, rivolse un pensiero alla vittima chiedendo collaborazione alla cittadinanza, come suggerito da chi conduceva le indagini. Purtroppo però, le ricerche non diedero alcun esito, almeno in un primo momento.

Le indagini si erano poi intensificate attorno a coloro che conoscevano Sharon, amici e parenti. La 33enne da circa tre anni viveva con il compagno Sergio Ruocco a Terno d’Isola in via Merelli, a circa 600 metri di distanza dal luogo in cui è stata accoltellata a morte. Al momento della tragedia il compagno, secondo quanto è emerso dalle indagini, si trovava in casa in quei terribili istanti.

Omicidio terno d'isola

Ruocco,  che lavora come idraulico per una ditta di Seriate, ha poi raccontato di trovarsi nella loro casa e che, solitamente accompagnava Sharon nelle sue passeggiate, ma la sera dell’aggressione era stanco e andò dormire. Furono proprio i Carabinieri a svegliarlo e a sentirlo a lungo quella notte, tentando di far luce sulla vicenda. Nel corso delle indagini, Ruocco verrà poi sentito altre tre volte dai carabinieri e con loro parteciperà a due sopralluoghi nell’abitazione, che nel frattempo fu posta sotto sequestro. Ma su di lui non emersero elementi.

Nelle indagini vennero anche coinvolti i carabinieri del Raggruppamento operativo speciale, il Ros, impegnati ad analizzare le immagini delle telecamere in zona, pubbliche e private, circa una cinquantina. Tra le immagini destarono particolare attenzione quelle di un uomo in bicicletta, che percorse contromano la via dell’omicidio. Il mistero sulla sua identità durò per diversi giorni. Su questo preciso dettaglio, è stato successivamente indagato anche un pensionato pugliese, accusato di falsa testimonianza per aver detto di non aver visto il passaggio del misterioso uomo in bicicletta.

A distanza di due settimane dal delitto, le indagini hanno intrapreso una nuova pista: quella del prelievo del Dna a tappeto dalle persone che in qualche modo hanno fatto parte della vita di Sharon e anche tra i residenti di via Castegnate, di piazza Sette Martiri e non solo. I diversi campioni sono poi stati confrontati con quelli di materiale biologico repertati sul corpo della vittima.

Anche il cellulare di Sharon è stato passato al setaccio. Ne è emerso che durante la camminata notturna che ha portato la 33enne barista a essere aggredita alle spalle, il telefono abbia generato “traffico”. Non è dato sapere però se la vittima abbia telefonato oppure scritto dei messaggi e soprattutto a chi. Infine, ulteriori indagini sono state condotte su alcune strade del territorio ternese, chiuse al traffico per consentire alle forze dell’ordine di svolgere opportunamente le operazioni investigative in corso.

Nessun collegamento rilevante è invece risultato dalle analisi sul conto corrente di Sharon da cui erano emersi dei versamenti a Scientology che la 33enne aveva cominciato a frequentare da quando aveva trovato lavoro in un bar i cui responsabili fanno parte del movimento.

L’arresto del killer

Tra le piste che i carabinieri stanno considerando per scoprire l’identità dell’assassino di Sharon Verzeni ci fu  anche quella dell’aggressione da parte di uno spacciatore.  Secondo quanto trapelato dalle indagini, alcuni “soggetti problematici” che bazzicavano spesso in Piazza Sette Martiri prima dell’omicidio, dopo l’accaduto sarebbero spariti e non sarebbero più stati visti. Con il tempo, però, molti hanno fatto ritorno nel comune dell’Isola bergamasca, interessato da un preoccupante giro di spaccio.

La svolta nelle indagini è arrivata il 30 agosto 2024 con il fermo, da parte dei Carabinieri di Moussa Sangare, un 31enne italiano di origini africane. E’ lui il misterioso uomo in bicicletta ripreso dalle telecamere. “Ho avuto un raptus improvviso. Non so spiegare perché sia successo, l’ho vista e l’ho uccisa”, confessò l’uomo, rintracciato nella Bergamasca. Il 31enne, disoccupato, è residente a Suisio, a poca distanza quindi dal luogo dell’omicidio. E’ italiano, di una famiglia originaria della Costa D’Avorio.

Omicidio di sharon

La confessione del killer

Il 31 agosto 2024, Maria Cristina Rota, procuratrice aggiunta a Bergamo ha poi illustrato i dettagli della confessione di Sangare: “È uscito di casa con 4 coltelli e quindi gli è stata contestata la premeditazione: l’obiettivo era evidente, voleva colpire qualcuno. Non c’è nessun movente religioso, né terroristico, non appartiene ad alcun movimento religioso. Poteva essere la signora Verzeni o uno di noi che passavamo di lì. Non c’è stato alcun movente, non si conoscevano e non hanno mai avuto contatti”.

La procuratrice ha spiegato inoltre che gli investigatori sono arrivati al presunto killer “grazie all’aiuto di due persone che erano presenti e hanno raccontato quanto avevano visto. All’identificazione del fermato hanno collaborato due cittadini stranieri che si trovavano sul luogo. L’uomo aveva già delle denunce per maltrattamenti ai danni della madre e della sorella ed era andato a vivere da solo”.

Il 31enne era un abituale frequentatore della piazza di Terno d’Isola, ma la sera che ha ucciso la donna, dopo esser uscito da casa con 4 coltelli, non c’era passato. I due stranieri che erano andati ai carabinieri per fare altre segnalazioni, hanno poi dato indicazioni sul fermato una volta che sono state loro mostrate le immagini.

E’ stato poi lo stesso Sangare a condurre i Carabinieri sul luogo dove erano stati sepolti e gettati nell’Adda sia l’arma del delitto, un coltello, che altri oggetti portati con sè: quattro coltelli, uno zaino, due braccialetti e dei vestiti dell’indagato, di cui si era liberato il giorno dopo il reato, intorno alle 3 del mattino, vicino alla località di Medolago conosciuta come “Adda beach”.

Davanti al gip Raffaella Mascarino, alla presenza anche del pm Emanuele Marchisio, che ha coordinato le indagini per la Procura, del legale Giacomo Maj e dei carabinieri che si sono occupati del caso che ha tenuto impegnati gli investigatori per un mese, Moussa Sangare ha ribadito ancora una volta di aver commesso l’assassinio senza un motivo specifico.

Ha dichiarato che non c’era un movente e che non sa per quale motivo lo ha fatto: è uscito di casa con una sensazione che non sapeva spiegare, che lo spingeva a fare del male. Tra gli ulteriori dettagli che avrebbe fornito nel corso dell’udienza, ha anche raccontato di aver fatto in precedenza delle prove, una sorta di esercitazione con dei coltelli, sulla statua che si trova in via Rota a Terno, ma l’avrebbe fatta anche a casa con il cartonato che teneva nel suo appartamento. Per meglio precisare, quello che aveva occupato abusivamente, dopo essersene andato dall’abitazione familiare, denunciato per maltrattamenti.

Ulteriore dettaglio raccapricciante della confessione, il fatto che Sharon, sorpresa, aveva cercato di scappare domandandogli: «Perché? Sei un codardo, sei un b******o». Dopo aver terminato il suo proposito, Moussa era rimontato in sella alla sua due ruote e si era allontanato. Nel corso dell’interrogatorio, ha ammesso di fare uso di stupefacenti, ma di non averne assunti quella sera e di essere uscito dall’appartamento con un solo coltello. Ha poi confermato di aver incontrato per strada due adolescenti, delle altre persone e infine la vittima, ma non è stato in grado di spiegare perché avesse scelto proprio lei quella sera. Dopo aver afferrato alle spalle e colpito Sharon una prima volta, le avrebbe anche chiesto scusa per ciò che stava facendo e, pure all’interrogatorio, si è detto dispiaciuto per quanto successo.

Verso il processo a Moussa Sangare

A chiudere il cerchio sulle responsabilità di Moussa Sangare, il 31enne di Suisio originario del Mali, il Dna della giovane trovato sulla canna della bici che il 31enne usò per allontanarsi dal luogo del delitto. Il ritrovamento della traccia genetica mista è stato quindi inserito nelle pagine di relazione che il Ris di Parma ha inviato al pm Emanuele Marchisio che ha provveduto a chiedere il giudizio immediato per omicidio pluriaggravato. Oltre che i futili motivi e la premeditazione, il pm Emanuele Marchisio gli ha contestato l’aggravante della minorata difesa per l’orario notturno, il luogo che era deserto e le condizioni della vittima che stava ascoltando musica con le cuffiette, risultando quindi più vulnerabile a un’aggressione a sorpresa alle spalle come quella che ha subito.

Il processo a Sangare è iniziato ufficialmente lo scorso 25 febbraio con la formula del giudizio immediato, procedimento speciale che consente di “saltare” l’udienza preliminare e porta ad anticipare il dibattimento, senza finalità premiali per l’imputato. Una strada che si è rivelata percorribile, nel caso di specie, per due motivi: la presenza di prove inconfutabili contro l’indagato e l’avvenuto interrogatorio.

Dopo un’ora e cinque minuti di camera di consiglio, i giudici popolari della Corte d’Assise hanno accolto la richiesta della difesa di una doppia perizia psichiatrica su Sangare che in aula ha bofonchiato, a sorpresa, di essere «innocente».

Moussa Sangare è tornato poi alla sbarra nella mattinata di venerdì 14 marzo, questa volta però un reato diverso: maltrattamenti, perpetrati verso la madre e la sorella la quale, secondo l’accusa, era stata minacciata in un’occasione con un coltello dall’imputato. Accusa che, nei giorni scorsi, gli è costata una condanna a 3 anni e 8 mesi.

Secondo quanto ricostruito in aula, la sorella, studentessa 24enne di ingegneria, lo aveva denunciato dopo essere stata minacciata di morte ed essere stata bersagliata dal lancio di oggetti. Nella stessa serata, Sangare aveva anche aperto il gas dando fuoco alla cucina. In un altro caso verificato almeno, l’aveva presa a pugni puntandole contro un coltello.

Per quanto riguarda il processo per maltrattamenti, Sangare era stato sottoposto ad una perizia psichiatrica che, pur evidenziando disturbi della personalità e tossicodipendenza, aveva stabilito la capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto e per la sua capacità di sostenere un processo. Alle stesse conclusioni erano giunti anche i consulenti dell’accusa.

Tornando al processo per l’omicidio Verzeni, la difesa di Sangare, retta dall’avvocato Giacomo Maj, ha presentato a suo sostegno una relazione redatta da un assistente sociale di Suisio, antecedente al fatto, e ha raccontato di un video in cui Sangare sostiene di parlare con i morti. Clamorosa poi la ritrattazione, lo scorso martedì 18 marzo 2025, con cui Sangare Afferma di non aver ucciso Sharon Verzeni, di essere stato un semplice testimone dell’omicidio e che dalla scena del delitto sarebbe soltanto fuggito per paura.

Sangare capace di intendere e di volere

Di fronte a un quadro accusatorio che appare granitico, la perizia psichiatrica rappresenta forse l’unica, vera carta della difesa, che l’avvocato Giacomo Maj ha giocato anche nel procedimento per maltrattamenti in famiglia, chiuso in primo grado il 16 luglio con una condanna a 3 anni e 8 mesi (con rito abbreviato). Perizia dalla quale è poi emerso che l’uomo non risulta affetto da alcun vizio di mente e quindi sarebbe stato perfettamente in grado di intendere e volere.

Ad affermarlo la psichiatra Giuseppina Paulillo a cui la Corte d’Assise lo scorso 1 aprile ha affidato l’incarico medico peritale. Sangare, 30 anni, residente a Suisio (Bergamo) soffre di un disturbo di personalità di tipo narcisistico e antisociale, ma ciò non influirebbe sulla sua lucidità evidenziando anche “assenza di rimorsi ed empatia”.

Oggi, nel corso dell’udienza, tuttavia, Sangare ha cambiato completamente versione.