Lettera da una meratese in Argentina: "Ce la faremo, non dubitate!"
Alex Bartolo, originaria di Novate, vive a Buenos Aires, dove lavora come insegnante.
Una lettera dall'Argentina. Da quella terra così lontana che l'ha accolta tre anni fa, dove si è trasferita per fare l'insegnante. Ma Alex Bartolo, originaria della frazione meratese di Novate, il filo con l'Italia, con gli amici e soprattutto con i genitori non lo ha mai interrotto. E seppur a migliaia di chilometri di distanza - vive a Buenos Aires - ha voluto rivolgere un bellissimo pensiero agli italiani che oggi affrontano il dramma del Coronavirus con grande sofferenza, ma anche con grande dignità e voglia di tornare al più presto alla normalità. Pubblichiamo integralmente la sua lettera.
Cara Italia, non ti ho mai vista così ferita, triste e impaurita. Non ti ho mai vista nemmeno così creativa, solidale, speranzosa e ottimista, neppure così sorda, ignorante ed egoista.
Questo stato di estrema emergenza sta tirando fuori i lati migliori e peggiori del tuo popolo abituato a non sentirsi tale, da settimane si stringe in un unico canto di dolore, speranza e amore.
Qui a Buenos Aires sono maestra in una scuola paritaria italiana bilingue e trasmetto non solo la lingua, non anche le conoscenze e i saperi, trasmetto soprattutto la cultura italiana a bambini argentini che imparano a sognare e ad amare il Bel Paese ancor prima di averci messo piede.
Qui l’emergenza sanitaria è cominciata da poco, fino al 20 di Marzo alle ore 00.00 abbiamo vissuto abbastanza tranquillamente senza cambiare troppo le nostre abitudini giornaliere, quando invece in Italia già si sentiva il peso feroce di una tragedia in corso.
Il Presidente Argentino Alberto Fernandez ha poi deciso di estendere la quarantena anche detta “distanziamento sociale obbligatorio” fino al 12 Aprile quando la precedente data era stata fissata al 31 di Marzo.
Il Governo ha preso decisioni importanti adottando misure di sicurezza preventive nonostante i pochi casi accertati: prime su tutte hanno chiuso le scuole poi le attività culturali che sono il cuore pulsante della Capitale, poi sono stati ridotti i trasporti, chiuse le frontiere anche tra regioni ( Estados Federados comunemente dette Provincias ) ed infine la chiusura di tutte le attività commerciali eccetto supermercati, botteghe alimentari e fruttivendoli, pizzerie e ristoranti che garantiscono il servizio d’asporto o ritiro sul posto però no consumo in loco, ferramenta per problemi tecnici, negozi di prodotti per la pulizia, tabaccai e farmacie.
Ho vissuto giorni di estrema ansia e paura quando ho letto le prime spaventose notizie delle centinaia e poi migliaia di vittime in Lombardia, poi in tutto il Paese. Non dimenticherò mai la notte d’inferno che ho passato dopo aver visto le riprese dei camion dell’Esercito, tra cui quello degli Alpini sempre pronti ad aiutare, che trasportavano le bare delle povere vittime perché non c’era più posto per loro.. ho sentito un enorme dolore, ho avuto davvero paura.
Ho pensato fortemente ad ogni persona che conosco e soprattutto alla mia famiglia, con un nodo alla gola, con ansia, con insonnia.
Da lontano, io che con il telefono e la tecnologia non vado molto d’accordo, mi sono detta: “Cosa posso fare da qui?”
E la sola risposta plausibile è stata di impegnarmi a dare un supporto emotivo, ad esserci, a chiamare ogni giorno la mia famiglia, videochiamare i miei nonni che ormai sono diventati bravissimi a farlo, a scrivere agli amici, a scrivere anche a chi non sento da tanto tempo, alle mie amiche infermiere Vale e Ale che stanno dando corpo e anima in ospedale a Milano, alla mia amica Livia che probabilmente presto sarà sul campo, alla mia amica Vale che è medico veterinario a Bergamo e finché non ha risposto ai miei messaggi mi ha lasciato col fiato sospeso, a Davide Buzzi il mio Amico scrittore e cantautore che a causa della sua brutta malattia è chiuso in casa in Svizzera e deve stare molto attento, alla mia cuginetta Isy che si affaccia alla vita protetta dal pancione della sua mamma Viviana in Olanda, a mio nipote Leito che ha solo poco più di un anno e già sta vivendo un’esperienza assurda dalla sua casa di Calusco e che un giorno gli racconteremo, a Gianni che non ha più chi lo aiuta nella sua severa disabilità e a Laura che con tutte le sue forze si cura e lo cura, alle dolci Rosi e Adriana chiuse nelle case di riposo con tutti i rischi e la solitudine che stanno provando.
Ho avuto la necessità impellente di sapere e di sperare che tutti stessero bene.
Ma quante notizie di amici, parenti di amici, conoscenti, concittadini che lottano con le loro forze fino a guarire o a volte purtroppo no..
In questo momento di prigionia salvifica, dopo tanti giorni, dopo aver cantato e suonato dai balconi, ho notato che le persone hanno cominciato a sentirsi molto affaticate psicologicamente, a chiedersi:
“E il mio futuro? Quando finirà tutto questo?”. Le giornate diventano tutte simili l’una all’altra, perdi il conto dei giorni del calendario, ti senti appesantito in tutti i sensi e annoiato terribilmente, disorientato in casa tua.
Così, ricevere la telefonata di Alex da Buenos Aires diventa un momento che rompe la monotonia, che aiuta a svagare la mente e l’accompagna a fare un viaggio oltrepassando l’Atlantico verso l’Emisfero Australe e giù fino al Sud America, tra Brasile, Bolivia, Paraguay, Uruguay e Cile, lì dove si estende l’immenso territorio Argentino che è così grande da avere molti climi, dal caldo intenso del Nord al freddo tagliente dell’Antartide Argentina.
Sì, l’Atlantico, quell’immenso Oceano che sembra interminabile dalla cima dell’aereo che prendo ormai da quasi tre anni, ore ed ore a sorvolare l’immenso buio semiturbolento, la parte di questo Pianeta che più mi dà la misura di quanto è lontana casa mia, quel piccolo paese dove vive la mia famiglia, Merate, in quella regione la Lombardia, in quel grande e antico Paese che è la mia patria, l’Italia.
Quando mi è giunta la notizia che tutti i voli verso l’Italia erano stati sospesi a tempo indeterminato.. eh.. mi è venuto un tonfo al cuore ed immediatamente ho pensato a quello stesso immenso Oceano Atlantico che mi divide da ciò che ho di più caro: mamma, papà, sorella, nonni, zii, cugini, amici fraterni, gatto, cane e tutto quanto ha fatto di me la persona che sono oggi, qui, dall’altro capo del Mondo.
Se c’è però una cosa che mi identifica è la positività, non vado facilmente nel panico.
Così ho fatto ordine nelle mie emozioni e ho accettato la situazione sulla base della fortissima speranza che presto tutto si risolverà.
Non mi arrabbio, non mi deprimo, cerco di riempirmi di amore, di calma e di trasmetterla a tutte le persone con cui parlo.
La chiave è non perdere la serenità altrimenti è la fine.
I miei genitori hanno appeso sulla finestra della mia stanza a Novate, la bandiera Italiana e la bandiera Argentina; quando mio papá mi ha svegliata una mattina con una foto dicendomi che casa nostra da quel giorno sarebbe stata così per aiutarci e darci forza, per sentirci sempre uniti.. ho pianto e ho pensato di fare lo stesso sul mio balcone qui a Buenos Aires.
Per scelta non ho il televisore e questo mi protegge da tanta eccessiva informazione spesso ossessiva. Leggo e mi informo, il mio papà e la mia mamma sono tra tutti la mia fonte principale di informazione diretta, il resto ci pensa la rete. Ma a dosi, piccole dosi, perché riempirsi di tanto dolore, di tanta paura, di tante ipotesi svariate, di tanta rabbia, di tanti numeri, fa male, malissimo. Accetto e leggo la realtà ma non permetto alla sovrainformazione di immettermi in un circolo ossessivo che rischia di ferirmi davvero e di farmi perdere quella serenità che mi serve per sopravvivere e per aiutare a sopravvivere.
Qui ad Almagro, un quartiere di classe media della città autonoma di Buenos Aires, non si è mai sentito tanto silenzio. La città della furia cantavano Soda Stereo. Si sente solo il suono dei megafoni delle macchine della polizia che passano per le strade a lanciare un messaggio del Governo che esorta a incoraggiare la gente a continuare a resistere e la ringrazia per questo sforzo e alle ore 21.00 di ogni giorno si alza in tutto il Paese un forte applauso al personale sanitario e a tutti coloro che lavorano fronteggiando l’emergenza in prima linea.
Io..ho un altro ruolo, la mia responsabilità è garantire una continuità pedagogica ai miei alunni e per questo lavoro moltissimo, mi sono inventata mille modi e mille formati per dare la Scuola a distanza ai miei piccoli bimbi argentini tra i 5 e i 6 anni che da sole due settimane avevano cominciato l’anno scolastico entrando nella classe prima della primaria.
Molti di loro non sanno ancora leggere, scrivere o sono alle prime armi, avevamo da poco iniziato a conoscerci e a entrare in confidenza, non capiscono ancora quasi nulla di italiano quindi il mio lavoro a distanza si è fatto davvero arduo. Ma devo dire che sta procedendo bene grazie alla mia dedizione a questo mestiere di cui chiaramente devi sentirne la vocazione se no meglio far altro e grazie anche alla collaborazione della scuola e delle famiglie.
Ma.. chi non ha il computer?
Eh sì, non è il caso dei miei alunni, ma è il caso delle migliaia e migliaia di bambini poveri che vivono in situazioni estremamente precarie, che vivono nelle villas, ossia quei posti spaventosi che noi conosciamo come favelas o baraccopoli. Ecco appunto, tanti di loro non sanno neppure cosa sia un cellulare o un tablet, lontano dall’avere il WiFi, il computer e quindi lontano dal poter avere la scuola a distanza.
Mi domando come faranno i bambini di Corrientes, la provincia più povera dell’Argentina dove 5 persone su 10 sono terribilmente povere. E allora mi chiedo come fanno i ragazzini della Escuela Basica nº38 Estatal di Villa Hidalgo a Jose Suárez partido de San Martin situata in una zona molto povera del Conourbano di Buenos Aires? La mia ritrovata cugina Italo-argentina Claudia, lí è professoressa di lingua e letteratura ma soprattutto brava persona, in questo periodo rompe la quarantena per offrirsi volontaria e distribuire borse di alimenti e quaderni scolastici mandati dal Governo per le famiglie degli alunni che vivono in situazioni davvero estreme proprio nella Villas (baraccopoli) da cui provengono gli studenti di questa scuola, poveri di una povertà che noi italiani non sappiamo neanche immaginarci.
Che scuola per loro in questa quarantena nazionale? Nessuna, ancora una volta emarginati. Questa è l’altra faccia ingiusta della realtà sociale argentina dove il povero è estremamente povero da non avere neanche la certezza di un pasto al giorno, il ricco è estremamente ricco e vive tranquillo nella sua villa in quartieri privati e dove la classe media sopravvive a fatica all’inflazione folle (la seconda dopo il Venezuela), ai prezzi pazzi di una moneta che si svaluta ad ogni secondo che passa e che si arrabatta in uno o più lavori per mandare avanti la baracca.
La quarantena fa riflettere, ci fa ridimensionare ai piccoli che siamo in questo Mondo bellissimo di cui siamo ospiti e che si sta riposando un po’ dalla nostra negligenza e dal nostro egoismo. Ci fa essere persone migliori, ci fa tornare alle cose fatte in casa, alla voglia di sentire i propri cari, alla creatività, a renderci conto di quanto siamo fortunati perché abbiamo una casa, cibo, la scuola a distanza e magari anche uno stipendio garantito, ci catapulta alla necessità estrema delle cose vere, quelle che valgono davvero, prime su tutte il dono della vita, la libertà e l’Amore.
Un abbraccio forte intercontinentale con tutto il mio cuore a tutti i miei concittadini e soprattutto a chi è solo e a chi rischia la propria vita per il bene comune.
Sempre con Amore. Ce la faremo non dubitare!!
Alex
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