Il miracolo del piccolo Amir: era in fin di vita, ora è tornato a camminare
Il bimbo, nato al Mandic di Merate, era stato colpito da una rara forma virale mentre si trovava in Marocco con i suoi familiari.
Avevano detto che forse non sarebbe più riuscito a muoversi e invece ora cammina. Avevano detto che forse sarebbe rimasto cieco e invece ora è tornato a vedere il mondo con i suoi grandi occhi verdi. Avevano detto che forse non avrebbe più parlato e adesso la speranza è che riesca di nuovo a cantare come amava tanto fare prima che questo incubo avesse inizio. Dolore, sconforto, disperazione, ma anche attesa e fiducia s’intrecciano nella storia del piccolo Amir Boudressa, di origini marocchine, nato il 14 settembre 2017 al Mandic di Merate. Bambino vispo e solare, per giorni ha lottato tra la vita e la morte all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e ora sta cercando di riconquistare la normalità che ha perduto un anno fa a causa di un brutto virus.
Un calvario cominciato nel 2019
Il suo calvario è cominciato nell’agosto 2019 quando Amir era in vacanza nella terra dei suoi genitori insieme a mamma Hanae e a papà Azeddine Boudressa, rispettivamente di 31 e 32 anni, che da qualche mese avevano preso casa a Mapello dopo aver vissuto per un certo periodo a Brivio e poi a Villa d’Adda. In seguito ad alcuni problemi di stomaco, infatti, un giorno il bambino venne portato alla clinica privata «Al Kawtar», nella città di Fez, per una semplice visita pediatrica ed eventualmente per fargli prescrivere qualche vitamina o un antibiotico. I medici, però, ne approfittarono per far pagare alla famiglia una serie di inutili esami, finché ad un certo punto Amir iniziò a star male per davvero, peggiorando di minuto in minuto, e al quinto giorno di ricovero entrò in coma. Venne quindi trasferito all’ospedale pubblico «Chu», sempre a Fez, dove gli venne diagnosticata un’epatite fulminante. L’unica soluzione sarebbe stata quella di sottoporlo a un trapianto di fegato, ma in quella struttura non c’era la possibilità di effettuare l’operazione e quindi i dottori consigliarono ai genitori di portarlo d’urgenza in Europa. Grazie all’incredibile aiuto di amici e parenti, in poche ore Hanae e Azeddine riuscirono a raccogliere i soldi necessari per pagare un volo privato e nella notte del 29 agosto il bimbo arrivò all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Un bimbo dalla forza incredibile
Anche una volta tornati in Italia, però, i problemi non finirono perché i medici scoprirono che Amir non aveva l’epatite, bensì il Rotavirus, un’infezione che gli aveva provocato danni al fegato, ai reni, ai polmoni e al cervello e che non era curabile con un semplice trapianto. Lo avevano dato per spacciato, eppure Amir dimostrò di avere una forza incredibile e il giorno dopo giorno iniziò a registrare piccoli miglioramenti. «Quando mio figlio si è svegliato dal coma, tutti dicevano che era un miracolo - ha raccontato con un sorrisone e gli occhi pieni di gioia mamma Hanae, che abbiamo incontrato nella sua casa di Mapello, mentre cullava il suo secondo bambino, Aus, nato lo scorso 29 aprile - Poi, però, mi hanno anche detto che a quel punto il problema sarebbe stato un altro: dalla Tac erano infatti emersi gravi danni cerebrali e non era detto che si sarebbe ripreso».
Il risveglio e il miracolo
I dottori non hanno nascosto alla giovane coppia la possibilità che il loro bimbo sarebbe potuto rimanere in quelle condizioni per tutta la vita. «Il 14 settembre dell’anno scorso abbiamo festeggiato il suo secondo compleanno in ospedale con una torta - ha continuato Hanae - Amir si era appena svegliato ma non riusciva a camminare, a vedere, parlare e sentire. Mi faceva male il cuore a vederlo così... Dopo un paio di settimane, però, ha iniziato a muovere una gamba, poi il dito di una mano e poi ha persino ricominciato a ridere». Una vera e propria boccata d’aria fresca dopo un mese con il fiato sospeso.
Il trasferimento a La Nostra Famiglia
E così, a ottobre, il direttore del reparto di Terapia intensiva pediatrica Ezio Bonanomi che stava seguendo il caso ha ritenuto fosse arrivato il momento di trasferire il piccolo a Bosisio Parini nel rinomato centro di riabilitazione «La nostra famiglia». «Stavo con lui 24 ore su 24 - ha proseguito la giovane mamma - Non tornavo mai a casa e se mi spostavo era solo per andare in ospedale a Bergamo per gli esami della gravidanza. Sì, perché intanto avevo scoperto di essere incinta, anche se non ero assolutamente pronta per vivere un momento così bello in quello stato di stress».
Nella nuova struttura Amir era seguito da professionisti che gli hanno fatto compiere molti passi in avanti nel suo percorso di ripresa, finché a Natale è stato mandato a casa per la chiusura del centro durante le vacanze. «Avrebbe dovuto ritornare a gennaio, ma prima per alcuni problemi burocratici e poi per lo scoppio dell’emergenza Coronavirus non siamo più riusciti a farlo accedere per diversi mesi - ha raccontato ancora Hanae - A casa, però, io lo facevo giocare tutto il giorno e mi dedicavo esclusivamente a lui. L’estate scorsa l’ho persino portato allo zoo e in piscina».
E infatti, quando il 30 luglio è rientrato al centro di riabilitazione, i medici e gli infermieri hanno notato miglioramenti importanti. «Per fortuna adesso con lui c’è mia mamma Rabia Loulidi Lazrak, arrivata a febbraio dal Marocco. Io non lo vedo da tre mesi perché a causa del Covid sono state sospese le visite e mi manca tantissimo, però sapere che c’è lei a stargli accanto mi fa sentire più sicura».
E' tornato a camminare, a sentire i suoni e a vedere
Dopo un anno difficile, ora Amir sta molto meglio. E’ tornato a camminare, a sentire i suoni e a vedere; tra poco dovrebbe anche lasciare la struttura riabilitativa di Bosisio per cominciare a frequentare la scuola dell’infanzia. La speranza è che presto torni anche a parlare e cantare come amava tanto fare prima che questa drammatica odissea avesse inizio. «Vorrei ringraziare innanzitutto il primario del reparto di Terapia intensiva pediatrica del Papa Giovanni XXIII Ezio Bonanomi e l’infermiera del reparto di Pediatria Maria Teresa Brivio - ha concluso Hanae - Un ringraziamento speciale va anche a tutto il personale del centro di Bosisio: la caposala Giulia Mandelli, il primario Sandra Strazzer, il medico Paolo Avantaggiato, le neuropsicolomotriciste Melissa Placido e Silvia Bissichini, Melissa Fumagalli per la riabilitazione delle funzioni adattive, Paola Monica Seveso per la valutazione psicometrica e Katia Colombo per l’Empowerment Caregiver. Ma più in generale rivolgo un enorme grazie a tutto lo staff di Terapia intensiva e di Pediatria dell’ospedale e quello del centro, che sono sempre rimasti vicini a mio figlio e non lo hanno mai lasciato solo. E poi ringrazio Dio, perché ha ascoltato le mie preghiere e non mi ha abbandonato».