Dal Frecciarossa deragliato a Lodi al focolaio di Covid-19 nella Bassa: ipotesi inquietante
Pochi giorni dopo il drammatico incidente ferroviario fra le forze dell'ordine si diffonde quella che viene classificata come un'influenza stagionale.
C’è davvero un possibile legame tra il drammatico deragliamento di un Frecciarossa nel Basso Lodigiano e il focolaio di Covid-19 partito proprio da Codogno ed estesosi poi a tutta la Lombardia? A riannodare i fili i colleghi di PrimaLodi.it
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Dal deragliamento del Frecciarossa a Lodi al focolaio di Covid-19
Sul luogo della tragedia numerosi i soccorritori, ma anche tecnici e personale delle forze dell’ordine che sono accorsi per fornire assistenza. Senza contare le operazioni legate alla rimozione della carcassa del convoglio che hanno impiegato un gran numero di tecnici in loco. Due settimane dopo, il 20 febbraio 2020, scatta l’emergenza Coronavirus in Italia, in seguito al ricovero a Codogno di un 38enne che risulta positivo al tampone. Medesima zona protagonista: i Comuni del Basso Lodigiano.
Il decreto governativo
Da quel primo ricovero il Paese si ritrova a fare i conti con il Covid-19: quelli che parevano casi isolati si moltiplicano fino ad arrivare alla situazione di emergenza attuale. Il Dpcm varato il 23 febbraio invitava chiunque fosse stato nelle zone rosse, o vi avesse transitato anche fugacemente dal 1 febbraio, a darne immediata segnalazione al Dipartimento di prevenzione dell’Azienda sanitaria locale. La prima domanda che si sono posti in molti è proprio questa: le migliaia di persone lì presenti avranno provveduto a rendere nota la cosa?
I primi sintomi
Nemmeno 10 giorni dopo il deragliamento, fra le forze dell’0rdine fanno capolino i primi malati, tutti con sintomi similari. Dolori muscolari, febbre anche sopra i 39, gola secca, tosse. Sintomi che vengono catalogati come un’influenza di stagione: ricordiamo infatti che il picco influenzale era atteso proprio per quel periodo. Queste persone, in molti casi, hanno condiviso spazi comuni in caserma.
Sorvegliare la “zona rossa”
Si arriva al 23 febbraio, quando 10 comuni del Basso Lodigiano vengono identificati come “zona rossa”. Ancora una volta sono gli uomini delle forze dell’ordine territoriali, i medesimi che erano stati chiamati ad accorrere anche durante in deragliamento – e che in molti casi hanno accusato sintomi classificati come influenzali – ad essere schierati in prima linea. Alcuni di loro, negli ultimi giorni, hanno rivelato alla stampa che le mascherine fornite erano poche, spesso ce le si scambiava fra colleghi e ci si ritrovava a dover respingere, magari anche fisicamente, alcuni residenti che volevano uscire dalla zona rossa. Non c’era ancora la consapevolezza della pandemia in arrivo, né della sua gravità.
In servizio al Meazza
Chiudendo la ricostruzione emerge anche che alcuni uomini destinati nella sorveglianza della zona rossa, il 19 febbraio, sono stati impiegati nell’ordine pubblico della partita di Champions League, giocata al Meazza tra Atalanta e Valencia. Definita dai medici una “bomba biologica”, sotto il fronte del virus, ha interessato tifosi bergamaschi, spagnoli e la città di Milano. Non è possibile avere certezze circa la catena di contagi, ma la Bergamasca e la Spagna risultano fra i focolai più colpiti dall’emergenza.