L'intervista

Covid, dopo un anno parla il paziente zero lecchese: "Ho visto morire i miei compagni di stanza"

Il giovane, residente a Cassago, ha raccontato i drammatici giorni in ospedale e in isolamento all'inizio della pandemia.

Covid, dopo un anno parla il paziente zero lecchese: "Ho visto morire i miei compagni di stanza"
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Di Silvia Moreschi (dal Giornale di Merate del 2/3/2021)

E' ormai trascorso più di un anno da quando, il 26 febbraio 2020, si diffuse la notizia del primo caso di contagio da Covid nella provincia di Lecco: un giovane originario di Cassago era risultato positivo al virus che in questi mesi abbiamo imparato a conoscere, a chiamare per nome, a conviverci modificando le nostre abitudini, ma che in quel momento si percepiva erroneamente ancora come qualcosa di lontano dalle nostre vite e dal nostro territorio.

A distanza di un anno quel giovane ha accettato, anche se in maniera anonima, di ripercorrere quelle settimane di preoccupazione in cui nessuno, dalle istituzioni al personale sanitario, sapeva bene come comportarsi e che protocollo seguire sia per curare le persone, che per cercare di impedire la diffusione del Coronavirus. Settimane caratterizzate da notizie contrastanti, supermercati presi d’assalto e la curva dei contagi che aumentava esponenzialmente, fino al lockdown totale del 9 marzo che ha posto tutta Italia in isolamento.

La febbre non scende e il numero verde squilla a vuoto

Una vicenda che per il giovane è iniziata però il 24 febbraio, con la comparsa di una febbre che non scende nonostante la Tachipirina. Il numero verde di emergenza nazionale che era stato indicato come contatto da consultare in caso di comparsa di sintomi riconducibili al virus risultava sempre occupato e così, per molte ore il giovane non era riuscito a ricevere nessuna disposizione. Così, dopo due giorni trascorsi in casa senza miglioramenti, con la febbre che non raccennava ad abbassarsi, aveva deciso di recarsi pronto soccorso dell'ospedale di Lecco dove era stato ricoverato nel reparto di Malattie infettive e sottoposto ad un primo tampone, risulta positivo. Ne eseguirà altri otto, uno ogni tre giorni circa.

«Mai stato nel Lodigiano per lavoro»

Tante le ipotesi che iniziavano a circolare rispetto all'origine del contagio, tanto che in quei giorni si era diffusa la notizia che il giovane di Cassago fosse stato a lavorare nel Lodigiano, in quelle che erano diventate le prime zone rosse della Lombardia e d'Italia. «Questo non è stato riportato correttamente – spiega il giovane - Io non sono stato in quelle zone. In quel periodo lavoravo a Milano e avevo dei colleghi che venivano da quel territorio, ma a distanza di tempo hanno fatto tutti i controlli e i test necessari e sono risultati negativi. Non ho idea di dove posso aver contratto il Covid, potrebbe essere stato al lavoro, così come durante il mio tempo libero, visto che poi si è saputo che il virus circolava da tempo».

In isolamento in ospedale per tre settimane

Ricoverato al Manzoni di Lecco, il giovane brianzolo era stato subito messo in una stanza in isolamento per circa tre settimane, anche se già dal terzo giorno la febbre era sparita, così come gli altri sintomi: «Il mio unico contatto erano le infermiere, che tutte “bardate” venivano a fare i prelievi e i controlli di routine. A Lecco sono stato isolato tutto il tempo e non mi rendevo del tutto conto nella gravità della situazione, percepivo solo la tensione: sentivo di continuo le sirene delle ambulanze che arrivavano e la notte gli altri pazienti che stavano male».

«Dormivo con altri pazienti, qualcuno l’ho visto morire»

Il passaggio emotivamente più duro è avvenuto però quando è stato trasferito a Sondalo, in Valtellina, dove è rimasto fino al 21 marzo, data in cui è stato poi dimesso: «E' lì che mi son reso conto della potenza distruttiva del virus: non ero più in una condizione di isolamento ma dormivo in camere con altri pazienti: ho visto diverse persone morire. E' stata l’esperienza più brutta della mia vita soprattutto perché mi rendevo conto di non poter far niente per migliorare la situazione. Nel nuovo ospedale sono stato sottoposto a ulteriori quattro tamponi, gli ultimi due con esito negativo. Lì, grazie alla mia buona condizione di salute, ho cercato di aiutare di dare il mio contributo facendo piccoli lavori al pc».

«In quelle settimane avevo il pensiero dei miei familiari»

Un'esperienza difficile e sicuramente molto forte da dover gestire, a cui si è aggiunto l'impatto mediatico legato al fatto di essere il primo caso ufficiale in provincia di Lecco: «Penso di aver agito sempre in buona fede, cercando di tutelare la mia famiglia e gli amici - racconta oggi il giovane - Sicuramente non è stato semplice gestire sia la situazione emotiva di quelle settimane che l'impatto mediatico che ha comportato essere considerato il primo caso in provincia. In quelle settimane avevo sempre il pensiero anche dei miei familiari che invece venivano contattati tutti i giorni per avere notizie sulle mie condizioni di salute».

Oggi le varianti ci mettono a dura prova

A distanza di un anno le varianti del Covid mettono di nuovo a dura prova l’Italia e anche il nostro territorio, con i casi di positività che aumentano ogni giorno, le scuole che vengono chiuse e le restrizioni che si fanno nuovamente più stringenti. Inevitabile chiedere allora a quel giovane, a chi ha vissuto in prima persona l’incertezza e il timore di quel periodo che non sembra più tanto lontano, quali sono i sentimenti che prova oggi, a distanza di mesi nel sentire queste notizie e l’ipotesi di una imminente terza ondata: «Comprendo la voglia di uscire, di tornare a vivere,  anche se poi quando vedo scene di assembramento mi fa riflettere e penso che per fortuna loro non si rendono conto della reale gravità di questo virus. Credo che solo vivendo in prima persona il contagio ci si possa realmente rendere conto di cosa comporta e delle conseguenze che può avere».

 

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