Coronavirus: il 12% dei morti sul lavoro è bergamasco
I dati sono fissati al 15 giugno per ora. Si tratta del il 12,7 per cento del totale nazionale, dove si contato 236 morti bianche
È un triste primato quello detenuto dalla provincia di Bergamo. Stando all’aggiornamento dell’Inail sulle denunce di infortunio per Covid-19 (con dati che arrivano fino al 15 giugno scorso) ben 30 persone sono morte dopo aver contratto l’infezione sul posto di lavoro, cinque delle quali erano residenti nel capoluogo. Si tratta del il 12,7 per cento del totale nazionale, dove si contato 236 morti bianche.
Coronavirus: il triste primato bergamasco dei morti su lavoro
Seguono Milano, con 22 vittime, e le città di Brescia e Cremona, con 14 persone decedute. La Lombardia, da sola arriva al 36 per cento del totale italiano, seguita dal Piemonte (15,2 per cento) e dall’Emilia Romagna (10,2 per cento).
«Visto che molti dei nuovi focolai di contagio sembrano svilupparsi sui luoghi di lavoro – ha commentato Angelo Chiari, responsabile politiche salute e sicurezza Cgil Bergamo – è necessario mantenere alta l’attenzione all’interno di tutti i siti produttivi, con un confronto attivo nei comitati aziendali tra Rsu, Rls, azienda e medico competente. Distanziamento sociale, sanificazione degli ambienti e dispositivi di protezione individuale devono continuare ad essere utilizzati come previsto dai protocolli, siglati il 5 maggio scorso a livello territoriale. Infine, sollecitiamo ancora una volta l’Inail ad agire celermente nei confronti dei lavoratori colpiti dal Covid e delle loro famiglie, perché possano avere il prima possibile ciò che gli spetta».
Gli infortuni legati al Covid
Inoltre, Bergamo è quinta per quel che riguarda il numero di infortuni dovuti al morbo, includendo anche i casi di guarigione, con 895 segnalazioni sul totale di 49.021 casi. A precederla le città di Milano, Torino, Genova e Brescia. Tra l’altro, gli infortuni totali (Covid e non Covid) nel nostro capoluogo nei primi cinque mesi del 2020 sono stati 5.474: un dato inferiore del 10,4 per cento rispetto a quello del 2019 (6.044) dovuto con ogni probabilità al lockdown.
«Con la ripresa dei direttivi delle categorie stiamo riscontrando, se mai ve ne fosse stato bisogno, come il tema della sicurezza e della salute siano stati al centro della attenzione e delle azioni dei nostri rappresentanti nei luoghi di lavoro – aggiunge Gianni Peracchi, segretario provinciale della Cgil -. Quanto hanno fatto durante l’emergenza ha certificato uno straordinario livello di responsabilizzazione e ancora adesso nessuno di loro ha intenzione di abbassare la guardia».
I dati nazionali
A livello nazionale l’1,6 per cento degli infortunati da Coronavirus ha contratto la malattia a febbraio; il 53,1 per cento a marzo; il 36,8 per cento ad aprile; il 7,6 per cento a maggio; lo 0,8 per cento nei primi 15 giorni di giugno.
Il 17,3 per cento dei contagiati ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni; il 36,9 per cento tra i 35 e i 49 anni; il 43,7 per cento dei contagiati ha un’età compresa tra i 50 e i 64 anni; il 2,1 per cento ha più di 64 anni. In controtendenza rispetto al dato generale della popolazione, ad ammalarsi sul posto di lavoro sono state più le donne (71,7 per cento) che gli uomini (28,3 per cento), soprattutto perché tra il personale infermieristico e socio-sanitario la componente femminile è prevalente. Tuttavia, 8 morti su 10 sono di sesso maschile.