Testimonianza

Rotte balcaniche, il racconto di Chiara Bonfanti

La volontaria di "No Name Kitchen" ha condiviso la sua esperienza sui confini di Grecia e Serbia nella serata di venerdì 3 marzo nell’area feste di Prestabbio

Rotte balcaniche, il racconto di Chiara Bonfanti
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Rotte balcaniche, la testimonianza di una volontaria a Castello Brianza. L'incontro si è svolto nella serata di venerdì 3 marzo nell’area feste di Prestabbio.

Rotte balcaniche, il racconto di Chiara Bonfanti

«Ho fatto cose piccole ma che, in realtà, fanno sentire queste persone esseri umani». Esordisce così, Chiara Bonfanti, volontaria per “No Name Kitchen” (gruppo di volontari indipendenti che opera nei Balcani offrendo soccorso ai migranti) di Castello Brianza, durante la serata di condivisione della sua esperienza umanitaria sui confini di Grecia e Serbia organizzata dall’Associazione San Donato e dalla Commissione Biblioteca nella serata di venerdì 3 marzo all’area feste di Prestabbio.

Una serata «fiume» alla quale hanno deciso di partecipare decine e decine di concittadini, a dimostrazione di quanto il tema dei migranti e, più in generale, delle cosiddette «rotte balcaniche» sia quanto mai di attualità e molto sentito da tutti.

«L’emozione che ho provato quando sono arrivata in quei luoghi è stata un profondo senso di vergogna – ha spiegato Chiara – Tutto non è come sembra. Al di fuori dei confini europei le cose non vanno proprio come ci vengono mostrate».

La sua esperienza di volontariato inizia in Grecia, a Policastro, dove ha portato beni di prima necessità ma anche uno spazio sociale e un punto d'incontro per i migranti, in un campo di accoglienza: «Provate a pensare cosa può provare un genitore quando il proprio bambino chiede un gelato e lui non se lo può permettere. Ecco, queste persone vivono in condizioni di vita pessime, in attesa di avere il loro processo di Asilo. Alcune sono solo di passaggio, altre invece ci restano per mesi e addirittura anni».

Testimonianza cruda di una realtà che agli occhi del mondo appare diversa

Durante il racconto di Chiara, sul maxischermo scorrono le foto del campo, testimonianze crude di una realtà che agli occhi del mondo appare diversa: «Donne, uomini e bambini aspettano all’infinito una decisione sul loro futuro. Spesso è un no che per loro significa essere respinti, e ricominciare tutto da capo».

L’esperienza è poi proseguita a Subotica (Serbia), al confine con l’Ungheria, dove è stato costruito un vero e proprio muro di filo spinato per impedire ai migranti di varcare la soglia europea e dove giornalmente si assiste a duri respingimenti.

Essere respinti non è facile ma spesso il desiderio di farcela è più forte: «Loro lo chiamano “game”, un gioco. Mossi dalla disperazione, cercano ogni giorno di oltrepassare il confine nella speranza di salvarsi. A volte, riescono a superare il filo spinato ma, la maggior parte dei tentativi finisce con respingimenti, violenza e umiliazione».

Nel corso degli anni sulle rotte balcaniche, fortunatamente, si è venuto a creare quello che Chiara definisce come il «più grande movimento civile di volontariato dopo la seconda guerra mondiale» ma tutto questo ancora non basta: «Ognuno di noi può fare la differenza. Io non mi sono mai sentita sola, ma parte di una grande famiglia. Si cerca sempre di costruire muri e dividere le persone ma quello che ho visto, e vissuto insieme a queste persone sono tanto affetto, umanità, amore e solidarietà».

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