Lo sfogo

Don Giorgio De Capitani, da 10 anni in "esilio": "Colpa di Scola e Delpini"

Il 14 settembre 2013 fu costretto a lasciare la comunità di Monte di Rovagnate, di cui era parroco: "Tenuto a distanza come un virus"

Don Giorgio De Capitani, da 10 anni in "esilio": "Colpa di Scola e Delpini"
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In "esilio" da dieci anni. Da quando il 14 settembre 2013 fu costretto a lasciare la comunità di Monte di Rovagnate, di cui era parroco. Questa mattina don Giorgio De Capitani, controverso sacerdote noto per il suo pensiero controcorrente (spesso ospite del programma di Radio 24 "La Zanzara"), ha affidato alla sua pagina Facebook un'amara riflessione  su quanto accaduto all'epoca, non risparmiando attacchi all'attuale arcivescovo Mario Delpini e al suo predecessore Angelo Scola.

Don Giorgio De Capitani, dieci anni da "esiliato"

"Non erano passate alcune ore e già girava in paese la voce che avevo rubato quattro sedie sgangherate (tra l'altro mi erano state regalate) - ha scritto don Giorgio - e pensare che avrei dovuto farmi restituire dalla parrocchia milioni e milioni di vecchie lire di soldi miei che avevo usato per alcuni lavori eseguiti in parrocchia, che all'inizio aveva in cassa una miseria. E senza dimenticare che in 17 anni di permanenza a Monte ero riuscito a realizzare opere anche importanti, con il contributo di benefattori".

L'arcivescovo Mario Delpini con don Giorgio De Capitani

Il sacerdote, oggi 85enne, torna su quel giorno di dieci anni fa, raccontando di episodi mai rivelati in precedenza. "Successe che, all'arrivo del nuovo prete (con l'ordine di Scola di occupare la canonica per evitare che il sottoscritto rimanesse), parecchia roba della parrocchia era stata subito fatta propria da alcune famiglie. E pensare che mi era stata richiesta da qualche antiquario dietro pagamento. Dieci anni sono passati e da allora non ho mai potuto mettere piede in parrocchia, sempre per disposizioni dissennate di una Curia, forse tra le peggiori del mondo, tanto più che ora è nelle mani di un "impotente" che mantiene ancora in vita divieti assurdi".

"Tenuto a distanza, come un virus"

Don Giorgio, che a Rovagnate - oggi La Valletta Brianza - è nato, cresciuto e ha maturato la vocazione che lo ha portato a diventare prete il 28 giugno 1963, parla oggi da esiliato dalla sua stessa comunità. "In questi dieci anni i preti della comunità pastorale di Sant'Antonio Abate, tranne rarissime volte, sempre comunque per necessità, si sono mantenuti a dovuta distanza, come da un virus, dimenticando tra l'altro che sono un loro parrocchiano - prosegue don Giorgio - Certo, non vogliono rogne e perciò obbediscono, senza mai ascoltare la voce della loro coscienza. Ogni prete ha il suo stile pastorale, una sua spiritualità e va capito e anche apprezzato. Ma ciò che non sopporto è quella mancanza di umanità tra confratelli, verso coloro che, anche se ribelli, non andrebbero mai emarginati".

Di qui, una considerazione amara. "Io, al loro posto, mi sarei comportato così: ogni giorno avrei rotto le p**** al vescovo per togliere le disposizioni disciplinari a un confratello, tanto più che, come mi ha detto Dionigi Tettamanzi quando era residente a Triuggio, le punizioni anche ecclesiastiche per essere educative devono essere a tempo determinato. Probabilmente io sono un'eccezione, per cui sono stato condannato a vita! In fondo mi sta bene così: sono più libero di dire ciò che vogliono, contro tutto e contro tutti".

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