Contagi alle stelle con Omicron, ma il Covid oggi uccide meno di altre malattie
Nella prima ondata un paziente Covid su tre moriva. Il dott. Fagiuoli: «Questa percentuale, di ondata in ondata, si è abbassata, e oggi siamo intorno al 6%»
di Andrea Rossetti
La quarta ondata Covid avanza imperterrita. I numeri sono chiari: un mese fa, la nostra era una delle province con il minor numero di nuovi casi riscontrati settimanalmente (in proporzione agli abitanti), mentre oggi siamo fra quelle che ne registrano di più. Dal 28 dicembre in avanti, le nuove positività quotidiane in Bergamasca sono state mediamente più di 2.500, con picchi (negli ultimi giorni) di oltre 4.500. Dati che non erano mai stati raggiunti dall'inizio della pandemia e che, se da un lato sono ovviamente figli dell’elevatissimo numero di tamponi che si stanno eseguendo, dall'altro raccontano anche di una variante Omicron la cui altissima contagiosità è ormai accertata.
«L’incremento, molto rapido, dei contagi conferma che ci troviamo innanzi a un’ondata decisamente diversa dalle precedenti», commenta il dottor Stefano Fagiuoli, direttore del Dipartimento di Medicina dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. «Va però sottolineato come questa impennata di casi non corrisponda a una crescita uguale di ricoveri e morti, fortunatamente».
Quindi anche lei conferma che la Omicron è meno aggressiva delle varianti precedenti?
«Non abbiamo ancora evidenze scientifiche per dirlo. Ma l’osservazione della realtà va in quella direzione. Naturalmente, vaccini e mascherine stanno aiutando moltissimo».
Qual è l’attuale situazione in ospedale?
«La fotografia mostra attualmente (6 gennaio, ndr) 108 persone ricoverate in area medica e 18 in terapia intensiva al Papa Giovanni. Va però detto che la situazione cambia anche più volte nello stesso giorno, tanto che noi medici abbiamo due bollettini quotidiani al riguardo».
Sono numeri decisamente più alti rispetto a prima di Natale...
«Nella prima metà di dicembre avevamo una trentina di ricoverati in area medica e meno di dieci persone in terapia intensiva. La crescita c’è stata dunque, è evidente. Ma non è paragonabile, percentualmente, alla crescita che c’è stata dei contagi. E questo è un dato confortante».
Quindi lei è ottimista?
«Parlare di ottimismo sarebbe esagerato. Mi limito a dire ciò che vedo. E mi baso sui dati che abbiamo a disposizione. Nella prima ondata, il tasso di mortalità relativo alle ospedalizzazioni era del 33 per cento: un paziente Covid su tre moriva. Questa percentuale, di ondata in ondata, si è abbassata, e oggi siamo intorno al 6 per cento. Questo è un dato che, dal punto di vista organizzativo, non può non essere preso in considerazione».
In che senso?
«Nel senso che, attualmente, il Covid non ha un tasso di mortalità più elevato di altre malattie. Anzi, in alcuni casi è addirittura più basso».
È una buona notizia, no?
«Certo, ma pone un problema: stiamo concentrando energie enormi, praticamente pari a quelle delle ondate precedenti, su una malattia che, a oggi, comporta un rischio di morte fortunatamente più basso, o comunque in linea, con altre malattie che invece stiamo lasciando indietro».
A fine novembre si chiedeva se fosse giusto rinviare le cure di pazienti fragili per curare pazienti Covid che, nel novanta per cento dei casi, non sono vaccinati. È sempre questo il punto?
«Ricordo quel dilemma e lo confermo: eticamente, è una questione che mi pongo ogni giorno. Anzi, nel tempo s’è rafforzata, perché la patologia Covid attuale non ha tassi di mortalità clamorosamente più alti di altre malattie. Però, mi permetta una precisazione: io medico non devo giocare a fare Dio. Curerò sempre ogni paziente mi si presenti, che sia vaccinato o meno. Ma la contingenza costringe a delle scelte. Ogni posto letto destinato a un paziente Covid è un posto letto sottratto a un soggetto affetto da diverse patologie, magari ugualmente gravi. Di questo bisogna esserne consci».
Restano elevate le percentuali dei non vaccinati ricoverati?
«Sì. In terapia intensiva, direi che siamo stabilmente sul novanta per cento di soggetti non vaccinati. In area medica, invece, la percentuale scende al sessanta per cento. Ma nel quaranta per cento di vaccinati ricoverati, molti sono risultati positivi a tamponi incidentali».
Che significa?
«Significa che sono soggetti che sono stati ricoverati in realtà per altri problemi, ad esempio una frattura, e che sono stati rilevati positivi al tampone pre-ricovero e quindi isolati nei posti letto Covid, ma non sono ricoverati per il Covid. Mentre la maggior parte dei ricoverati Covid in area medica non vaccinati si trovano lì proprio per le conseguenze del virus. Si tratta di un dato che spesso non viene sottolineato ma che invece ritengo importantissimo evidenziare per rimarcare una volta in più l’importanza dei vaccini».
Quali sono le altre patologie che stanno pagando il prezzo più alto a causa delle ospedalizzazioni Covid?
«Sicuramente i malati oncologici. Ci sono studi che affermano come ci vorranno almeno vent'anni per recuperare i ritardi accumulati dal 2020 a oggi. Tra mancati controlli e diagnosi ritardate, la situazione è molto, molto preoccupante. Ma lo stesso vale per gli scompensi cardiaci o neurologici, ad esempio. Abbiamo anche molti più pazienti ricoverati per malattie epatiche. E pure i colleghi urologi mi raccontano di una situazione decisamente peggiorata».