Sopravvissuto al Covid e a un lungo coma: "Sono vivo per miracolo"
Il drammatico racconto di Giuseppe Buscemi, cresciuto e residente alla Colombina a Casatenovo fino a qualche anno fa, prima di trasferirsi a Brembilla, in Val Brembana.
«Sono nato per la prima volta a Merate il 17 ottobre 1977. E la seconda volta il 3 aprile 2020 a Bergamo». Inizia così il racconto di Giuseppe Buscemi, cresciuto e residente alla Colombina a Casatenovo fino a qualche anno fa, prima di trasferirsi a Brembilla, in Val Brembana, per permettere alla moglie di avvicinarsi al luogo di lavoro. In una lunga lettera inviata alla nostra redazione ha voluto ripercorrere gli ultimi mesi della sua vita, con la consapevolezza di essere un miracolato.
Sopravvissuto all'inferno del Covid
La sua è la storia di un sopravvissuto al Covid, alla prima, terribile, ondata di quel virus che a fine febbraio del 2020 si conosceva a malapena e si credeva ancora confinato in Cina. Ha trascorso un mese in coma, intubato, appeso a un filo tra la vita e la morte nel reparto di Rianimazione dell’ospedale di Bergamo. Dal suo risveglio, immobilizzato nel suo letto senza poter muovere un muscolo, ha visto morire 44 persone. Nel corpo porta ancora i segni invalidanti del Covid che lo costringono a dormire attaccato al ventilatore polmonare e, anche di giorno, a ricorrere spesso all’ossigeno.
«Era il 23 febbraio e quel giorno, tornato dalla spesa, ho iniziato a sentirmi stanco, con un filo di tosse, un bruciore di gola e un po’ di raffreddore - ricorda il 43enne casatese - Era Covid ma non lo sapevo ancora. Ho preso una Tachipirina ma la febbre è salita a 38,4. Poi addirittura a 39,9... Ero stremato, distrutto, dormivo sulla poltrona in salotto perché a letto non riuscivo a stare. Il mio medico, una dottoressa molto giovane, pur non potendomi visitare per le regole anti-Covid che in quei giorni cominciavano a essere applicate, ha deciso comunque di accogliermi in ambulatorio: è stata la mia salvezza, perché saturavo solo all’80%».
Un lunghissimo calvario
E da lì è iniziato il calvario: Pronto soccorso all’ospedale di San Giovanni Bianco, lastre, accertamenti e quindi il trasferimento al Papa Giovanni XXIII di Bergamo avvenuto il 29 febbraio, perché le sue condizioni stavano precipitando. Dopo tre giorni, infatti, è stato intubato. «Il medico mi ha detto che dovevo fidarmi: ho chiuso gli occhi e da quel momento non ho più avuto ricordi» racconta il 43enne, che di quei giorni - poco meno di un mese - ha ricostruito piano piano ogni avvenimento raccogliendo le testimonianze, le lettere, i messaggi di sua moglie, del suo bimbo, delle sue sorelle e di sua madre. «Io ero in coma ma la mia famiglia mi è stata vicina. Ancora di più lo è stata quando il 3 aprile mi sono svegliato, senza immaginarmi minimamente di aver dormito così a lungo: ero immobilizzato a letto, tracheotomizzanto, non potevo parlare ma ascoltavo le loro voci grazie all’aiuto di quelli che io chiamo “angeli”. Ovvero i medici e gli infermieri, che in mezzo a quella situazione così grave non hanno lasciato indietro nessuno, nemmeno me che pesavo oltre 150 kg e che avevo un quadro clinico fortemente compromesso».
A un passo dal baratro
E’ arrivato a un passo dal baratro, Giuseppe, ma lentamente e con una lunga riabilitazione durata altri 40 giorni è potuto tornare a casa. Il primo abbraccio è stato per suo figlio Alex, 9 anni, che domenica scorsa ha ricevuto la Prima Comunione. «E’ stata molto dura per la mia famiglia e in particolare per il mio bimbo: nel 2019 è morto mio nipote Simone in un incidente in moto (abitava ad Arlate di Calco, ndr), poi nel 2020 ho rischiato di andarmene io a causa del Covid... Ora sto meglio, ma a distanza di un anno sono ancora costretto a dormire con il ventilatore polmonare, se faccio qualche sforzo di giorno ho bisogno dell’ossigeno e sono diventato iperteso. Dormo poco, ho gli incubi ricordandomi quello che ho passato in ospedale: ho visto 44 pazienti morire, quando lo racconto la gente non ci crede».
L'obiettivo è sensibilizzare
Il giovane papà di Casatenovo racconta la sua storia per sensibilizzare le persone a continuare a usare le precauzioni per prevenire il Covid, ma anche come completamento di un percorso che per certi aspetti è stato anche spirituale. «Durante il coma ho sognato cose molto brutte, poi ho visto una luce. C’erano delle voci che mi dicevano che non mi volevano, non ancora. E a quel punto mi sono svegliato. Non sono mai stato un credente praticante, non ho mai pensato di avere una qualche forma di spiritualità, ma quei segni mi hanno profondamente colpito e oggi mi sento una persona diversa».
Lavora a Brivio
Ora si guarda avanti. «Ho la fortuna di non aver perso il lavoro grazie alla bontà d’animo del mio titolare Andrea Magni della Vlm di Brivio, che mi ha concesso il part-time e di poter operare lontano dalle vernici. Ho una famiglia che mi vuole bene e tanti amici. Sì, sono fortunato. Anzi, miracolato».
Il racconto integrale della drammatica esperienza scritto da Giuseppe Buscemi