Ristoratore salvo per miracolo dopo l'ictus e tre mesi in ospedale
Umberto Mazzoleni, 69 anni, è conosciutissimo e stimato in tutta l'Isola Bergamasca.
Ristoratore salvo per miracolo dopo un ictus e un lungo ricovero.
Centosei giorni lontano da casa, trascorsi “oscillando” da un ospedale all’altro come su un’altalena appesa nel vuoto in un gioco infinito tra la vita e la morte. Ma se non c’è niente di più vero che «del doman non v’è certezza», come cantava Lorenzo il Magnifico più di 500 anni fa, è anche vero che i miracoli accadono per davvero e che questa volta hanno raggiunto la piccola località di Gavardo a Villa d’Adda.
Ristoratore salvo per miracolo
«La vita è un quiz», ha commentato con un sorriso Umberto Mazzoleni ripensando al periodo difficile che ha affrontato negli ultimi mesi e da cui pian piano sta cercando di riprendersi. Da sempre residente in paese, il 5 settembre ha compiuto 69 anni e dal 2004 è titolare del ristorante e Bed & Breakfast Gavardo, situato nell’omonima località di Villa d’Adda alta e aperto per hobby insieme alla moglie Luciana Ravasio, 62 anni. Prima di diventare ristoratore, però, si era cimentato in molti altri lavori, dal meccanico a Sorisole al postino in diversi paesi come Caprino, Cisano, Carvico, Presezzo e, appunto, Villa d’Adda. Per questo, nella Bergamasca così come in Brianza, in tanti lo conoscono e gli vogliono bene. E in tanti, quando hanno saputo quello che gli era successo, hanno cercato di stargli vicino e di fargli forza.
Due ictus a maggio
«Tutto è cominciato l’11 maggio, quando mio marito ha avuto un ictus cerebrale - ha raccontato la sua dolce metà ricostruendo i fatti, che invece Mazzoleni ha in gran parte rimosso - Abbiamo chiamato subito il 112 e i soccorsi lo hanno portato all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dov’è stato ricoverato nel reparto di Neurologia. Da lì è iniziato il nostro calvario». Due giorni dopo, infatti, il titolare del B&B ha avuto un secondo ictus e da allora le sue condizioni di salute si sono complicate sempre di più, anche a causa dell’emergenza Coronavirus. «Una settimana dopo essere arrivato in ospedale, Umberto è stato spostato in Terapia semi-intensiva - ha continuato la moglie Luciana - e sette giorni più tardi, nel momento in cui sarebbe dovuto tornare in Neurologia, è stato sottoposto al tampone risultando positivo. Quindi è finito nel repato Covid e lì è rimasto per altri dieci giorni». A inizio giugno, invece, è stato trasferito all’Istituto di neuroriabilitazione ad alta complessità Habilita di Zingonia, ma anche in quel caso la sua permanenza è stata breve. «Dopo circa una settimana Umberto ha avuto un’infezione aggressiva e i medici sono stati costretti a farlo ricoverare al Policlinico San Marco, sempre a Zingonia - ha continuato la consorte - E’ tornato all’Istituto Habilita soltanto alla fine del mese».
La ripresa e le dimissioni ad agosto
Ed è proprio a quel punto che è cominciata la sua rinascita. «Di quello che è successo prima non mi ricordo niente - ha infatti spiegato l’amato ristoratore di Villa d’Adda - mentre da quel momento in poi sono tornato cosciente e ho potuto finalmente apprezzare l’umanità con cui mi stava seguendo il personale medico e paramedico: li ringrazio tutti di cuore, perché sono loro che mi hanno aiutato ad andare avanti anche quando mi davano per spacciato».
Così, pian piano Mazzoleni ha ripreso a parlare e a camminare - funzionalità che aveva perso nel corso della sua lunga degenza - e il 25 agosto è stato finalmente dimesso, dopo tre mesi e mezzo lontano da casa (in totale, ben 106 giorni) e appena in tempo per festeggiare il suo 69esimo compleanno. La ripresa, tuttavia, è ancora lunga e in questo difficile percorso di guarigione il supporto della moglie si sta rivelando fondamentale.
Il ricovero lontano dalla moglie
«La malattia ha bloccato lui, ma ha fermato anche me - ha affermato con voce piena di amore e dolore Luciana, con cui Mazzoleni è unito in matrimonio da 41 anni - Abbiamo sempre vissuto come in simbiosi e quando Umberto è entrato in ospedale è stata molto dura, perché per i primi 50 giorni di ricovero non ho potuto vederlo. Poi ho iniziato a fargli visita una volta a settimana, che ad agosto sono diventate due e alla fine tre. Ma non poter stare vicino a un proprio familiare è inumano, qualcosa che non auguro neanche al mio peggior nemico».
E in tutto ciò, anche la comunicazione era veramente scarsa. «Cinque minuti di telefonata al giorno non erano sufficienti - ha continuato - Nella situazione in cui si trovava, mio marito aveva bisogno di essere supportato da chi gli vuole bene, eppure è stato privato di questa possibilità. Così abbiamo puntato tutto sulla preghiera e sul pensiero a distanza per cercare di trasmettergli, anche se da lontano, fiducia e positività». «Io l’ho percepito, ho sentito la preghiera di tutti i miei amici, vivi e morti - ha infatti confermato lui senza nascondere l’emozione e le lacrime che arrivano dalla consapevolezza di essere un sopravvissuto - Sono stato miracolato: solo due su mille ce la fanno e io sono tra questi. Oltre ai medici e ai paramedici, ringrazio tutti gli amici che hanno chiamato o sono venuti a Gavardo per sapere come stavo e tutti coloro che, anche con un piccolo gesto, ci sono stati vicini».
Il lieto fine: presto riaprirà la sua attività
In queste lunghe giornate d’autunno trascorse tra qualche camminata per rinforzare i muscoli delle gambe, massaggi ed esercizi di riabilitazione insieme alla logopedista, l’unico passo che resta da compiere per riconquistare la normalità perduta sei mesi fa è riaprire il B&B e ristorante, al cui stop ha contribuito anche lo scoppio della pandemia. «Volevamo ripartire a dicembre, ma vista la situazione rimandiamo all’anno nuovo», ha concluso il proprietario con una serenità finalmente ritrovata.
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