Sconfigge il Coronavirus e torna a casa dopo quattro mesi
La toccante storia di Emanuele Biella, un papà di Sotto il Monte.
Quasi quattro mesi in ospedale lontano dalla moglie e dai suoi due bambini, strappato con forza alla normalità da un nemico invisibile che sembrava impossibile da sconfiggere. Ma quando c’è di mezzo l’amore, anche la paura più grande diventa piccina e fa spazio alla forza e al coraggio, alla voglia di combattere quel maledetto virus per tornare a riabbracciare la propria famiglia. E’ un incubo durato 118 interminabili giorni quello da cui si è appena risvegliato Emanuele Biella, 49 anni e residente a Sotto il Monte, che mercoledì scorso è stato dimesso dall’ospedale Sant’Antonio Abate di Cantù dopo una lunga e difficile lotta tra la vita e la morte contro il Coronavirus.
Quattro mesi di lotta contro il Coronavirus
«Sono stato ricoverato che era ancora inverno, sono uscito in piena estate», ha raccontato Emanuele pochi giorni dopo esser tornato finalmente a casa. Tutto è cominciato infatti nella prima metà di marzo, quando a causa del lockdown il 49enne si è trovato costretto a chiudere l’autocarrozzeria che gestisce in via Budriago a Carvico, suo paese d’origine. «In quei giorni ho iniziato ad avere forti sbalzi di temperatura, passando improvvisamente da 39° a 35° - ha proseguito - Poi, il 17 marzo, ho accusato i primi problemi respiratori».
Nonostante questo, il carrozziere di Sotto il Monte, papà di Andrea di 6 anni e Luca di 10, non voleva andare in ospedale: l’emergenza era scoppiata da poco e non si rendeva ancora conto di quanto fosse grave la situazione che stava vivendo. L’ambulanza, però, se l’è ritrovata direttamente fuori dalla porta il mattino seguente, poco prima delle cinque. A chiamarla a sua insaputa è stata la moglie Arianna: «Ero nel letto - ha spiegato Emanuele - quando ad un certo punto ho sentito il suono delle sirene, che pian piano diventava sempre più forte e si avvicinava a casa mia. Quando sono arrivati gli operatori sanitari ho indossato la felpa e sono uscito, mi hanno messo la maschera dell’ossigeno e mi hanno portato al San Gerardo di Monza».
Il lungo ricovero
Una volta lì, il carrozziere è stato sottoposto al test del tampone, dal quale è risultato positivo al contagio. I medici gli hanno fatto indossare il casco Cpap e lo hanno portato in un reparto per pazienti Covid. «Dopo un paio di giorni mi hanno cambiato stanza - ha continuato il papà di Sotto il Monte riportando alla memoria uno dei momenti peggiori della sua storia - Non so dove fossi, so soltanto che ero ai piani bassi dell’ospedale e che vedevo passare delle casse di legno in cui venivano trasportate le salme delle persone che non ce l’avevano fatta. Ricordo il pianto di una dottoressa...». In quel posto Emanuele ha trascorso una notte, finché si è liberato un posto nel reparto Covid di terapia intensiva: «Mi hanno sistemato su un lettino molto rigido, pareva di essere in sala operatoria, e davanti a me c’erano 7-8 medici che mi fissavano “imbacuccati” nelle loro tute gialle. Sembravano astronauti. Da quel momento e per i successivi due mesi ho un vuoto totale...».
Era il 23 marzo. Quel giorno Biella è stato intubato e col passare delle ore le sue condizioni diventavano sempre più critiche. Tre volte i medici hanno ripetuto alla moglie Arianna che il suo amato Emanuele sarebbe potuto non arrivare a sera, tre volte il suo cuore si è spezzato dal dolore. Pian piano, però, la situazione ha iniziato a migliorare: nei primi giorni di aprile Emanuele è stato sottoposto nuovamente al tampone, che incredibilmente ha dato esito negativo. Così il 12 aprile, giorno di Pasqua nonché del suo 49esimo compleanno, i medici lo hanno trasferito nel reparto di terapia intensiva generale. L’hanno però estubato soltanto il 19 maggio, quando l’hanno portato in terapia semi-intensiva e sottoposto per qualche giorno alla tracheotomia. Infine, il 5 giugno lo hanno spostato all’ospedale Sant’Antonio Abate di Cantù per la riabilitazione, dove pian piano è tornato a camminare. «Dopo 15 giorni sono dovuto tornare al San Gerardo per un intervento al polmone sinistro - ha spiegato il carrozziere - ma dopo due settimane sono tornato a Cantù e lì sono rimasto fino alle dimissioni dell’8 luglio».
L'abbraccio della moglie e dei figli
Il momento del ritorno è stato più speciale di quanto potesse immaginarsi: «Doveva venire a prendermi un mio amico, invece quando sono uscito dall’ospedale c’erano lui, sua moglie, sua figlia, Arianna e i miei due bambini». Poi, a casa, festa a sorpresa con i parenti e gli amici più stretti, che gli hanno fatto trovare diversi striscioni davanti all’ingresso: «Bentornato ragazzo», ha scritto qualcuno, «La vita ti porta in luoghi inaspettati, l’amore ti porta a casa!», è il messaggio che ha voluto lasciare qualcun altro.
«E’ stato molto emozionante - ha commentato Emanuele con le lacrime agli occhi - Quando sono arrivato a Cantù mi sembrava fosse passata solo una settimana, invece ero ricoverato da 60 giorni. All’inizio i dottori credevano che non ce l’avrei fatta, invece quando sono tornato a Monza per l’intervento si sono meravigliati di quanto velocemente mi fossi rimesso in forma. Sono rinato il giorno in cui mi hanno tolto l’intubazione endotracheale e per la prima volta ho potuto parlare con Arianna al telefono: qualche notte prima avevo sognato che i miei genitori erano rimasti vittima una rapina in casa ed ero convinto che fossero morti. Sapere che invece stavano bene mi ha dato la forza di combattere».
Ora che il peggio è passato, però, è tempo di guardare avanti: «E’ un’esperienza che va dimenticata. Qualche segno resterà di sicuro, ma lo porterò come motivo di orgoglio...».