EQUITA K Finance, Guicciardi: “La finanza favorisce la crescita delle imprese”
La società di consulenza finanziaria, focalizzata sull’attività di Fusioni e Acquisizioni, si è specializzata nell’interloquire con le famiglie imprenditoriali
Sin dalla nascita si è focalizzata sull’attività di Merger & Acquisition e finanza straordinaria, specializzandosi nell’interloquire con le famiglie imprenditoriali. Stiamo parlando di EQUITA K Finance, società di consulenza finanziaria facente parte di EQUITA Group. Quest’ultima è la primaria investment bank indipendente italiana quotata nel segmento STAR del mercato MTA di Borsa Italiana, oltre che il principale broker indipendente in Italia che offre ai propri clienti istituzionali servizi di intermediazione su azioni, obbligazioni, derivati ed ETF. EQUITA K Finance è stata fondata nel 1999 e da allora ha lavorato nel mercato dell’M&A curando diverse operazioni per le imprese, comprese molte realtà del nostro territorio come Fontana Gruppo di Veduggio, Salice di Novedrate, Limonta di Costa Masnaga, Sacchi di Barzanò, Farina Presse di Suello, Ome di Erba. Del ruolo di EQUITA K Finance e di come la società può accompagnare le nostre imprese nei progetti di crescita e internazionalizzazione ne abbiamo discusso con Filippo Guicciardi, 55 anni, CEO e fondatore della società, nato a Merate, figlio di un medico lecchese che lavorava proprio all’Ospedale di Merate, che si definisce «lecchese per famiglia paterna», pur essendosi trasferito da molti anni a Milano.
Dal 1999 ad oggi: 25 anni di attività, come si è evoluta EQUITA K Finance in questo arco di tempo?
Sono sicuramente successe tante cose, di certo abbiamo sempre cercato di preservare la nostra indipendenza. La società è nata con Giuseppe Renato Grasso, poi dal 2008 al 2020 abbiamo avuto come partner e socio di minoranza la nota società di consulenza The European House-Ambrosetti, mentre nel luglio 2020 EQUITA Group è entrata a far parte del nostro capitale. Negli ultimi dieci anni abbiamo portato a termine qualcosa come 122 operazioni, il 58% in Italia e il restante 42% all’estero. Circa due terzi hanno riguardato le cessioni e un terzo le acquisizioni. 61 di queste 122 operazioni, esattamente la metà, sono state fatte con il coinvolgimento di fondi di private equity. Il trend resta invariato: negli ultimi tre anni abbiamo concluso 52 operazioni quasi sempre con imprese famigliari.
Quali sono stati i motivi alla base del matrimonio con EQUITA Group?
Principalmente sono due . Da una parte del Gruppo EQUITA già faceva M&A su banche, assicurazioni e società quotate, mentre noi ci occupavamo delle famiglie imprenditoriali: è questa la nostra specializzazione, non si tratta di un tema di dimensioni, ma di tipologia di interlocutore tipico. Noi sappiamo parlare agli imprenditori del territorio, in particolare lombardi, veneti, piemontesi ed emiliani: ci sediamo accanto a loro e cerchiamo di capire come aiutarli nei processi di crescita e di internazionalizzazione. EQUITA invece ha come interlocutori principali i Consigli di amministrazione di grosse realtà, spesso società quotate in Borsa. Il secondo motivo è Clairfield International, la società da noi fondata nel 2004: si tratta di una realtà indipendente di consulenza M&A con 32 uffici partner nel mondo e oltre 400 professionisti che operano con regole chiare e scritte da noi. Senza dubbio è stata un’intuizione fortunata: avevamo capito che lo sviluppo M&A non avrebbe potuto che essere internazionale. E infatti così è stato.
Ci può parlare di ELITE, di cui EQUITA K Finance è partner?
ELITE è l'ecosistema di Euronext Group che connette le imprese a diverse fonti di capitale per accelerarne la crescita. L’obiettivo principale che si pone non è tanto quello di far quotare le aziende, ma invece aprirle al mercato dei capitali. Parliamo dunque di uno strumento di crescita per le imprese, che oggi non può essere solo interna, ma passa quasi necessariamente da uno sviluppo esterno, da un percorso di acquisizioni. Ecco allora l’importanza dell’apertura al mercato dei capitali: ELITE copre un fondamentale ruolo di facilitatore.
Nel corso degli anni avete curato diverse operazioni anche per alcune imprese che operano nei nostri territori come Fontana Gruppo Veduggio, Salice Novedrate, Limonta Costa Masnaga, Sacchi Barzanò, Farina Presse Suello, Ome di Erba, ecc. Quale valore aggiunto potete offrire alla manifattura lecchese, lariana e brianzola per affrontare le sfide del futuro?
Rispondo con un concetto provocatorio: chi fa il nostro mestiere tende sempre a presentarsi ai propri interlocutori come un esperto del settore in questione. Mi spiego: un imprenditore per definizione non ha competenze approfondite in tema di M&A, non è questa la sua “comfort zone”, per cui tenderà a conferire un mandato all’advisor che gli farà credere di essere più esperto del suo settore di appartenenza. Io mi pongo in controtendenza, affermando che la conoscenza del settore non è così importante: sono esperto di aziende famigliari, ed è questo che conta. Negli ultimi tre anni ho guidato team che hanno chiuso 28 operazioni in 25 settori differenti. Abbiamo lavorato con chi produce bulloni così come con chi fabbrica mobili o macchinari vari: paradossalmente sono realtà molto più simili fra di loro rispetto al confronto tra un’azienda famigliare e una manageriale quotata in Borsa. Il nostro valore aggiunto è comprendere le esigenze delle persone, anche quelle che non vengono esplicitate chiaramente. La nostra non è una professione di intermediazione: noi ci sediamo al fianco dell’imprenditore e capiamo come la finanza possa favorire il percorso di crescita dell’azienda. Attenzione, non mi riferisco soltanto alle acquisizioni, si può crescere anche vendendo, e non è una provocazione.
Potete anche aiutare le piccole e medie imprese?
Potenzialmente sì, anche aziende al di sotto dei 25/30 milioni di euro di fatturato, ma entro un certo limite. Siamo disponibili per le imprese del territorio e abbiamo costruito un’esperienza consolidata e di successo, tuttavia se una realtà è davvero troppo piccola non risulta appetibile sul mercato. Il sistema della finanza non è strutturato per fare operazioni su aziende di piccole dimensioni. Ogni caso però va valutato personalmente e con attenzione: un’impresa con 20 milioni di fatturato con un’ottima redditività potrebbe andare bene, al di sotto è molto più difficile, anche se in ogni caso esistono eccezioni per realtà che operano in determinati mercati - come l’high tech, il food o la cyber security - con un’ottimi risultati e grandi possibilità di crescita.
Quali sono le tre maggiori esigenze che emergono dagli imprenditori con i quali interagite?
Incominciamo dalla presa di coscienza del concetto che “piccolo non è più bello”, tutti hanno necessità di crescere, è il punto numero uno nell’agenda di qualsiasi imprenditore. Vent’anni fa in 10 incontri soltanto 2-3 parlavano seriamente e con convinzione di M&A, oggi siamo a 10 su 10. Proseguiamo con l’internazionalizzazione: la globalizzazione sta venendo meno da un certo punto di vista, ma la crescita non può essere soltanto domestica, perciò è importante avere una base in paesi diversi, per sviluppare e preservare i mercati. La terza esigenza riguarda i passaggi generazionali: è un tema numericamente molto forte, che spinge le operazioni di M&A. Attualmente stiamo osservando anche un passaggio di secondo livello: il fondatore ha già trasferito il comando al figlio o alla figlia tipicamente cinquantenne, che a sua volta già pensa alla sua successione, ma con una mentalità più favorevole all’apertura del capitale.