La Valletta

La Level sta all’arredamento come Kiton all’alta sartoria

L’azienda brianzola guidata dall’architetto Massimo Gianquitto punta sul social club

La Level sta all’arredamento come Kiton all’alta sartoria
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È il Kiton dell’ufficio, un professionista dell’alta sartoria al quale le aziende più moderne si rivolgono per arredare la propria sede. La sua Level è l’esatto contrario della produzione industriale, dello standard e della serialità. «Oggi le aziende italiane sono quasi tutte proiettate all’estero e vogliono che il loro marchio sia ben riconoscibile anche dall’ufficio per i collaboratori e clienti. Noi realizziamo interventi esclusivi, che diventano lo specchio riflesso dei valori e dell’identità dell’impresa».

 

La Level sta all’arredamento come Kiton all’alta sartoria

 

È questa la filosofia che anima Massimo Gianquitto, milanese ma brianzolo d’adozione, imprenditore, architetto, docente allo IED e ora concorre all’Accademia delle Belle Arti, grande appassionato d’arte. Una filosofia che ha rivoluzionato la Level quando, insieme al socio Lanfranco Lezzeni,  nel 2012, è entrato nel capitale dell’azienda brianzola che stava attraversando un momento difficile. L’approccio iniziale avvenne con prudenza attraverso l’acquisto del magazzino e del know how dell’azienda. Successivamente l’attività commerciale è stata allargata anche alla parte industriale con l’acquisto dell’immobile (3.000 mq dedicati alla produzione e 800 a uffici e show room). Una bella realtà nella quale oggi lavorano 15 dipendenti.

Una sfida vinta, la sua. I primi dieci anni sono stati caratterizzati da tanta innovazione. Come è cambiato l’ufficio?

«Noi facciamo tanta ricerca, seguiamo le tendenze in atto nel mondo, studiamo le esigenze dei nostri clienti e poi formuliamo le nostre proposte, che sono diverse per ogni cliente -esordisce l’architetto Gianquitto -  Oggi l’ufficio è una sorta di social club. Ne ho parlato anche all’ultima edizione del Salone del Mobile quando mi hanno invitato a tenere una relazione».

Cosa significa social club?

«È un movimento culturale già presente negli Usa. La pandemia ha rivoluzionato il lavoro. Lo Smart working fino a qualche anno fa era un obiettivo, mentre oggi è una realtà, conseguentemente quando i collaboratori vengono in ufficio devono trovare un ambiente accogliente e in grado di favorire le relazioni e le collaborazioni, mentre i clienti devono subito riconoscere l’azienda e i suoi valori. Le attività ripetitive possono essere fatte tranquillamente a casa, ma quando si entra in azienda non bisogna trovare solo scrivanie, ma anche aree destinate all’information meeting, al coffee break che può pure trasformarsi in ristorazione, alla biblioteca... Chi ha spazi esterni - cortili, giardini o balconi - chiede arredi outdoor perché anche questi luoghi vengono usati per il lavoro. E devono essere spazi belli, attrattivi, magari arricchiti da opere d’arte, per stimolare il confronto, la creatività».

Concetti non semplici da far passare in Brianza…

«Noi lavoriamo in tutta Italia, ma le assicuro che pure in Brianza c’è una grande apertura su queste tematiche. Gli imprenditori sono collegati a Milano e al mondo, sono curiosi e attenti alle novità; sono sempre meno coloro che controllano  il tempo che un collaboratore trascorre al caffè. La bellezza in azienda e negli uffici non è solo una caratteristica delle multinazionali. Anche le nostre abitazioni sono cambiate. Oggi si cercano case più grandi, più belle, più accoglienti perché con le videoconferenze le abbiamo aperte al mondo».

Lei ha promosso una serie di incontri culturali in azienda. Perché?

«Il mio riferimento imprenditoriale è Adriano Olivetti, che era una persona curiosa, di cultura, che voleva far crescere i propri collaboratori. Non possiamo prescindere dalla cultura. Soprattutto oggi. Noi ci occupiamo di arredo e quindi ci è parso naturale parlare di design invitando esperti del settore. Questi eventi li abbiamo aperti anche al pubblico. Abbiamo sviluppato il tema del design dell’esperienza, con un approccio serio ma non cattedratico, ottenendo un gradimento inatteso. Tanto è vero che stiamo mettendo a punto una serie di incontri anche per quest’anno».

La sua passione per la cultura in genere e per l’arte in particolare è cosa nota. E ha coinvolto diverse scuole superiori del territorio. Con quale obiettivo?

«Tutto aiuta a far crescere il territorio nel quale opero e al quale sono molto legato. Sono appassionato soprattutto di arte contemporanea, mi piace conoscere le regole per infrangerle. Gli impressionisti sono stati rivoluzionari perché conoscevano le regole e le hanno infrante: infrangere le regole produce innovazione e l’innovazione è un errore andato a buon fine. In Brianza ci sono tanti collezionisti d’arte, ma l’arte deve essere condivisione. Insieme al Rotary Merate ho portato la street art nelle scuole superiori, dall’Agnesi al Viganò, da Villa Greppi al Bachelet: vedere gli studenti dialogare e lavorare con alcuni street artist di fama nazionale è stata un’esperienza impagabile».

 

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