Lettere al giornale

Retesalute, 4 milioni di debiti non sono solo apparenza...

Di Remo Valsecchi.

Retesalute, 4 milioni di debiti non sono solo apparenza...
Pubblicato:

Seguo, da lontano, attraverso i media, quello che sta succedendo nel meratese con ReteSalute. Non sono un commentatore, non esprimo giudizi sull'operato, non mi competono, faccio riflessioni politiche, quelle, in quanto cittadino, mi competono, e la vicenda riguarda un ente pubblico, cioè dei cittadini.
Certo, un buco di 4 milioni di euro in un "azienda speciale consortile", ente strumentale dei Comuni, che ha, come "clienti", praticamente, i soli comuni, fa scalpore.
Si dice che tutti, almeno i comuni consorziati, sapevano. Com'è possibile? Se, solo con la nomina a presidente di Alessandra Colombo, una persona seria di cui ho grande stima, è emerso tutto?
Se, come si legge sui media, nel 2019 c'è stata una perdita di 500mila euro, per accumulare un "buco" di quattro milioni ci vogliono otto anni.
Volevo capire ed ho recuperato sul sito di "ReteSalute", nella sezione Amministrazione Trasparente, i bilanci dal 2014 al 2018.
Sorpresa, i bilanci chiudono tutti con un utile, modesto, ma un utile.
Forse i bilanci approvati dai Comuni sino al 2018 erano tutti falsi? Per quanto riportato dai bilanci e dalle dichiarazioni apparse sulla stampa, parrebbe di si.
Dai documenti presentati ai Comuni qualche settimana la perdita riferita agli anni antecedenti il 2019, e non rilevata nei bilanci, ammonterebbe a € 3.359.710,31.
Hanno scritto "la questione è grave solo in apparenza perché i soci dell'azienda sono gli stessi clienti (i comuni)".
Non è così, i Comuni potrebbero opporsi al ripiano delle perdite se non viene dimostrata la loro consapevolezza della reale situazione di ReteSalute. La dimostrazione può avvenire solo se i bilanci rilevavano perdite nei vari anni ma, dalle dichiarazioni apparse sui media e dai bilanci esaminati, sembra che non sia così.
Peraltro, se i bilanci di ReteSalute avessero rilevato una perdita, i Comuni avrebbero dovuto accantonare, nei loro bilanci dell'anno successivo, un fondo vincolato sino al ripiano della perdita.
È stato fatto questo accantonamento? Se non c'era consapevolezza della perdita, certamente no, ma, in caso contrario, sarebbe una gravissima omissione.
Ma, adesso, i Comuni ne sono consapevoli e, almeno per le perdite sino al 2018, l'accantonamento deve essere fatto nel bilancio per l'anno in corso, se già approvato, con le opportune variazioni.
Per sopperire alla conseguente riduzione delle disponibilità finanziarie, saranno costretti ad aumentare le imposte locali e/o a ridurre i servizi ai cittadini. Il problema sarà, quindi, trasferito ai cittadini, già pressati e stressati.
E’ solo un problema di gravità apparente? Certo, se la situazione viene "insabbiata" e, in silenzio, ripianata dai Comuni, sarà solo apparente. Perché non dire ai cittadini la verità? In fondo saranno quelli che dovranno pagare questa assurda "anomalia".
Ho letto dichiarazioni sorprendenti come "E’ vero che i Comuni sono stati informati dopo della situazione, ma di fatto hanno pagato meno di quello che avrebbero dovuto i servizi di cui si sono avvalsi".
Indiscutibile, ma i Comuni, nei vari anni avrebbero stanziato impegni di spesa, per questo titolo, diversi e maggiori o, magari, avrebbero potuto avvalersi dei servizi di qualche altro ente.
Oggi, a causa di questo pasticcio, dovranno, in un anno solo, accantonare in un fondo vincolato 3,5/4 milioni di euro, il 50% circa dei costi annui del servizio che si aggiungono al costo normale dell'anno, ovviamente aumentato per evitare nuove perdite.
L'Azienda Speciale, però, è un Ente dotato di personalità giuridica e, quindi, di autonomia patrimoniale, e i suoi consorziati, i Comuni, non rispondono dei debiti della stessa.
Hanno detto che l'Azienda Speciale non è fallibile, ma l'Azienda Speciale è soggetta alla "liquidazione coatta amministrativa" che è il fallimento degli Enti diversi dalle società.
Tutto questo sarebbe un "danno grave solo in apparenza".
Evitiamo, inoltre, di usare definizioni inappropriate, come l'Azienda Speciale "opera, o dovrebbe operare, con criteri privatistici". Non è vero e non c'entra niente,
I criteri privatistici presuppongono la realizzazione dell'utile (il profitto - art. 2447 c.c.), mentre l'art. 114 del TUEL impone, per l'Azienda Speciale, l'equilibrio economico.
Il criterio da adottare è quello della "diligenza del buon padre di famiglia", concetto proveniente dal diritto romano ma, spesso, richiamato anche dal nostro Codice civile.
Se le tariffe non erano adeguate e l'equilibrio economico è stato raggiunto con fatture non contabilizzate o se "Ci siamo trovati di fronte bilanci formalmente in ordine, ma che in realtà non lo erano", come è stato dichiarato da chi aveva titolo e competenza per dichiararlo, non è una questione privatistica e nemmeno pubblicistica.
Non possiamo ignorare che troppo spesso il pubblico, o meglio la politica, fa cose incredibili, ma anche il privato, quando gestisce servizi pubblici, non è da meno.
Cominciamo a dire basta con queste logiche, bisogna evitare queste situazioni, nel principio della tutela del cittadino. Lo Stato sono i cittadini, non è un soggetto terzo da spolpare, i danni provocati allo Stato si riversano direttamente sugli ignari cittadini.
Remo Valsecchi

Seguici sui nostri canali