Dal karate al set cinematografico, la storia di Leandro Baroncini
Il 26enne è cresciuto nell’allora palestra delle “Dame Inglesi” di Merate sotto l’ala della maestra Manuela Pancaro, oggi è al cinema con il suo primo ruolo da attore protagonista
di Michael Tassone
Dal tatami al set cinematografico. Inclinazioni diverse di un giovane ragazzo che cerca di ritagliarsi il proprio spazio nel mondo della “settima arte”. Con la tempra di una disciplina, il karate, che ne ha consolidato indole e sicurezze.
C’è un pizzico di Merate nella fulgida carriera di Leandro Baroncini. Ventisei anni all’anagrafe, Baroncini è cresciuto nella palestra dell’allora “Dame Inglesi” sotto l’ala della maestra Manuela Pancaro. L’adolescenza da karateka segnata da traguardi significativi – le esperienze e le conoscenze oltre al grado di cintura nera ottenuto – scompaginata da un sogno che oggi vede i primi bagliori. Baroncini sta infatti coronando il piccolo grande sogno di “bucare lo schermo” grazie a una pellicola che segna il suo debutto attoriale e per lo più come interprete protagonista.
Dal karate al cinema, Baroncini debutta con "Milo"
“Il ladro di stelle cadenti”, un film di Francisco Saia nelle sale dallo scorso 17 ottobre, in cui Leandro è Milo, un ragazzo scanzonato che attraversa una fase d’amore struggente con Betty, la ragazza dei suoi sogni. Dal desiderio di essere baciato alla delusione d’amore con una morale di fondo: prendere la vita come viene godendosi la felicità che risiede nelle piccole cose. “Milo mi assomiglia un po’ – racconta Baroncini, originario di Usmate Velate – Ho ricevuto il copione tre giorni prima che iniziassero le riprese e se c’è una cosa che ho imparato da quando ho iniziato questa avventura è che l’attore deve partire proprio da sé stesso, interpretare le cose in maniera genuina ed è quello che ho cercato di fare io. Si tratta del mio primo ruolo da protagonista in un progetto indipendente e per me è una grande responsabilità: il primo giorno di set ero terrorizzato, vuoi per l’emozione vuoi per la poca preparazione. Ho pensato alle parole James McAvoy (celebre attore scozzese, ndr) che una volta disse quanto sia bello concentrarsi sul presente, stabilendo una connessione con il cast: condividere le proprie emozioni e parlare con sincerità ti fa sentire meglio”.
Alcuni scatti tratti dal film "Il ladro di stelle cadenti" (Credits: Francesco Pino)
"Il karate è uno stile di vita che ho fatto mio"
Quando hai maturato l’idea di diventare attore? “Già da piccolo. Ricordo in quinta elementare lo spettacolo di Natale a Merate nella scuola Beata Vergine Maria, lì dove ho iniziato anche a praticare karate grazie a Manuela che ringrazierò sempre, interpretai il fantasma Marley del “Canto di Natale” di Charles Dickens: quell’atmosfera, l’ansia che avevo…mi sembrò di entrare in un’altra dimensione e toccò tantissimo il mio cuore. Una tappa decisiva per la mia inclinazione è stata poi la visione di “Elvira” al Piccolo di Milano, lo spettacolo di Tony Servillo. In quarta superiore invece ottenni la possibilità di fare un anno di studio all’estero nel sud dell’Inghilterra dove oltre alle lezioni classiche feci drama: la recitazione fin da piccoli credo sia importante per aprirsi anche a livello sociale. Quell’esperienza ha consolidato la mia passione. Terminata la maturità mi sono trasferito a Londra, dove ho studiato per quattro anni all’accademia teatrale cinematografica Alra South (oggi diventata Rose Bruford College, ndr), dopodiché sono rientrato in Italia iniziando a svolgere i miei primi provini fino al “Ladro di stelle cadenti””.
Dove, in una scena del film, Leandro sembra tornare indietro nel tempo. “C’è una piccola scena di combattimento – spiega – e ricordo ancora che in quella circostanza il regista mi disse cosa dovevo fare. Risposi che io avevo fatto karate e anche stage combact in accademia e quindi alla fine a coordinare quella scena sono stato io. Il karate non è solo uno sport o una disciplina ma anche una filosofia di vita: mi ha dato elementi e prospettive, la mentalità di non fermarsi mai davanti alle difficoltà. Ho iniziato karate perché nella mia famiglia le arti marziali hanno sempre avuto un ruolo di primo piano, mio fratello praticava kung fu. Ricordo per sempre l’esame di cintura nera, magari non ero pronto a livello di consapevolezza, ma grazie a questo mondo ho imparato a perseverare e continuare: solo così si riesce ad ottenere qualcosa nella vita. Una filosofia di vita pratica che ho adottato in tutti gli ambiti della mia vita, professionale e non solo”.
Continuando a sfidare sé stessi imparando forse la lezione di Milo. “Continuerò a praticare karate cosa che ho continuato a fare anche in Inghilterra alla Westminster Shotokan Karate del maestro Gary Stewart. Sogno nel cassetto? Da piccolino era vincere l’oscar, adesso è cambiato. Il sogno vero è quello di essere una persona realizzata, sia nel lavoro che a livello umano. Inseguire la felicità”.
Il ricordo affettuoso della maestra Pancaro
Leandro Baroncini alcuni anni fa con Manuela Pancaro
Baroncini durante un esame
“Leandro è un ragazzo serio e finalizzato, sapevo che avrebbe preso questa strada”, lo racconta emozionandosi Manuela Pancaro. La storia di Leandro come quella di tanti altri bambini, con i loro sogni e desideri, cresciuti dalla loro maestra nel segno del karate. Da trasmettere con i suoi valori.
“Sono orgoglioso di Leandro, per me questi ragazzi sono come dei figli – racconta Pancaro, cintura nera 6° dan, una vita sul tatami attraversata dal kimono della nazionale alla sua creatura, la scuola Reiwa Karate-Do fondata nel 2019 – Indubbiamente avere anche dietro una famiglia che l’ha sempre sostenuto è stato importante, il suo percorso nel mondo del cinema è duro: l’ho paragonato anche alla mia di gavetta, non è facile e richiede continui sacrifici. Ma so anche quanto sia serio e abbia le idee chiare. Conosco Leandro da quando ha iniziato a praticare il karate tradizionale, quindi dai sei anni. È sempre stato un ragazzino appassionato, trovava benefici nel praticare il karate senza mai dare l’idea di potersi perdere in una disciplina che si pratica tutta la vita. E’ quello che cerco di trasmettere ai ragazzi e agli adulti che seguo: il karate oltre ad essere un’arte di difesa personale aiuta la stabilità mentale e fisica, impara l’uso dell’autocontrollo e insegna proprio quello che è la sincerità, l’impronta della vita”.
La realtà della Reiwa Karate-Do: oltre 200 iscritti
Oggi la scuola meratese vanta oltre duecento iscritti e una squadra agonistica di 20 atleti. Lo staff tecnico composto da Manuela Pancaro, dal maestro Emilio Gerosa cintura nera 5° dan, l’istruttore Ambra Paraboni 3° dan, l’assistente istruttore e psicologo Gaia Marinoni 3° dan, l’assistente Marco D’Alessio 2° dan e i due allenatori Lucio Valdata 1° dan e Flora Formenti 1° dan. “Ero una bambina molto timida, il karate mi ha aiutato e io penso di essere stata brava e fortunata a fare di questo la mia professione oltre che una missione di vita. Leandro mi ha conosciuto quando insegnavo il karate tradizionale, duro, ora i tempi sono cambiati: ma la passione per questa arte resta intatta. Sono orgogliosa del loro coraggio, perché il karate non è da tutti”.