Io giovane supplente. Off-line. Otto giga rimasti.
di Natalia Maraffini
Off-line. Otto giga rimasti. Insegno alle scuole superiori dal ventiquattro ottobre e dal ventiquattro febbraio mi dedico alla didattica on-line. Giovane supplente. Io non sono nulla e gli insegnanti non sono eroi.
Coordino una seconda liceo, ho contattato il consiglio di classe per un saluto, per dare loro la mia disponibilità a supportarli con queste nuove modalità, per un confronto. Mi hanno risposto in due.
Alcuni colleghi sono rientrati in servizio da malattie, chissà quanto vere, perché da casa possono continuare a non fare niente e percepire lo stipendio pieno. Una collega che sostituiva una di questi si è ritrovata da un giorno all’altro dalla prospettiva di vedersi rinnovato il contratto fino a giugno a non avere un lavoro. Dopo settimane continua a ricevere mail degli studenti che le chiedono cosa devono fare perché la titolare non si è presa nemmeno la briga di avvertirli del suo rientro.
Una collega con cui faccio compresenza alla prospettiva di tenere la prima videolezione insieme non mi ha più risposto.
Prima della sospensione delle lezioni c’era un collega che diversi docenti avevano segnalato per comportamenti inappropriati nei confronti di alunni e giovani professoresse. Il preside avrebbe preso provvedimenti, ma ora ha cose più importanti di cui occuparsi.
Sono alla mia prima esperienza di insegnamento e mi trovavo in quella scuola da quattro mesi. Prima potevo contare sul vicepreside che quando mi incrociava per i corridoi mi chiedeva come stesse andando, potevo contare sulla sala professori dove incontrare qualcuno con cui fare un confronto al volo sulle situazioni più problematiche. Ad esempio, su come comportarmi con le mie due studentesse che hanno perso i genitori o con quella a cui sono arrivati i carabinieri in casa, su come relazionarmi con gli assistenti sociali che seguono alcuni dei miei studenti oppure su come si fa a segnalare alle autorità che un alunno in obbligo scolastico è assente da troppo tempo. Prima potevo contare sugli sguardi degli studenti per capire se stavano bene, potevo contare sui loro sbadigli, sul brusio di sottofondo, sulle battute e i sorrisi per capire se io stavo andando bene.
Ora sono off-line per fare economia di giga e la priorità della giornata è trovare l’offerta più conveniente per ottenerne quanti più possibile. Sono nella mia cameretta perché ho fatto la scelta sbagliata di seguire le mie passioni, quindi ho dovuto pagarmi gli studi da sola e non posso ancora permettermi l’indipendenza. Leggo articoli in cui si compatiscono poveri professori con figli che devono tenere lezione da casa. D’altronde gli insegnanti sono tutti di una certa età, i giovani non esistono e io non sono nulla in questa stanza minuscola con così pochi giga.
Il preside ci ha detto di registrare le lezioni perché dobbiamo tenere traccia dei comportamenti scorretti degli studenti. Mentre mi accorgo che sul mio pc comprato all’inizio dell’università non girano i più banali programmi di registrazione dello schermo mi chiedo: studenti scorretti? Quando in questi giorni chiedo loro come stanno e qualcuno esclama: “Cazzo, prof. non ce la faccio più” io penso: “Vaffanculo le note” e vorrei rispondergli: “Minchia, anche io non ce la faccio più”. Ma non mi riferirei tanto allo stare in casa, ai miei miseri otto giga, al mio futuro precario, a tutta la fatica che ho fatto per raggiungere i miei obiettivi e a tutta la strada che ancora mi aspetta per l’indipendenza. Mi riferirei ai miei fottuti colleghi fantasma. Insieme ce la faremo? Se mi affaccio al balcone nessuno canta o suona le pentole o batte le mani. Non mi va di insegnare ai miei studenti le buone maniere, preferisco insegnarli il senso critico. Tra tre settimane scade il mio contratto e nemmeno so se sarò ancora la loro professoressa. Quando mi chiedono se resterò fino alla fine dell’anno gli dico la verità, che non lo so ancora, e lo vedo che sono tristi all’idea di perdermi perché so che mi apprezzano come persona, che gli piacciono le mie lezioni, che si divertono con me perché conosco e uso il loro gergo che non è così lontano dal mio.
Certo, molti colleghi ci sono e molti altri stanno subendo lutti o sono in apprensione per parenti malati, ma anche io ho mia sorella minore a Londra e ho le mie buone ragioni di essere preoccupata. Nonostante tutto fin dalla prima settimana di chiusura della scuola ci sono stata per gli studenti, perché sono giovane e sveglia e ho capito subito che dovevo trovare il modo di stargli vicino in una situazione così incerta. L’ho fatto dandogli dei film da guardare, dei film divertenti, belli e coinvolgenti per dargli qualcosa su cui riflettere che non fosse solo quell’incertezza, quella paura. Eppure, pandemia o no, la mia energia, il mio sguardo attento, la mia forza, la mia presenza, il mio impegno non sono una risorsa in questo Paese. Non sono nulla.
Natalia Maraffini
docente di Filosofia e Scienze umane