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Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sorte delle domande di contenuto patrimoniale nel caso di decesso, in corso di causa, del coniuge “forte”

Le Sezioni Unite si pronunciano sulla sorte delle domande di contenuto patrimoniale nel caso di decesso, in corso di causa, del coniuge “forte”
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La Corte di Cassazione si è di recente trovata ad affrontare il tema della sorte delle domande di contenuto patrimoniale (e, in particolare, di quella relativa all’assegno di mantenimento e/o divorzile), svolte all’interno del giudizio di separazione e divorzio, quando sopravvenga il decesso del coniuge economicamente “forte”.

La questione può essere, in estrema sintesi, riassunta nei seguenti termini: nel caso di morte del coniuge tenuto al pagamento dell’assegno (sia esso di mantenimento o di divorzio) il coniuge economicamente debole perde il diritto alla corresponsione dello stesso?

Sul tema, la Corte di legittimità ha ritenuto di doversi pronunciare nella sua composizione a Sezioni Unite stante la particolare complessità della tematica affrontata e del contrasto che era sorto in seno allo stesso organo giudicante: da un lato, un primo orientamento aveva ritenuto che la morte del soggetto obbligato non determinasse la cessazione della materia del contendere in quanto risultava permanente l’interesse della parte richiedente l’assegno al relativo credito sino alla morte dell’ex coniuge (credito che sarebbe risultato trasmissibile nei confronti degli eredi); dall’altro lato, un secondo diverso orientamento aveva invece prospettato che lo scioglimento del matrimonio in conseguenza della morte di un coniuge avesse (anche) l’effetto di precludere ogni pronuncia accessoria di natura patrimoniale.

Dopo aver ripercorso gli istituti di rilievo rispetto alla questione sottoposta al loro vaglio, le Sezioni Unite (sentenze n. 20495/2022 e 20495/2022) hanno infine aderito al primo orientamento, propendendo per la prosecuzione del giudizio anche solo per le domande di carattere patrimoniale nel caso della morte del coniuge quando questa sia avvenuta successivamente al passaggio in giudicato della pronuncia sullo status.

La soluzione è stata giustificata dalla ritenuta sussistenza di un autonomo interesse del coniuge superstite a proseguire il giudizio anche solo ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile. Del resto -argomenta la Corte- la domanda di assegno (e dunque anche la relativa pronuncia) resterebbe una domanda parzialmente autonoma, anche se strettamente connessa, a quella relativa allo status e, come tale, portante uno specifico interesse della parte. Viene quindi rimarcata da parte dei giudici di legittimità l’autonomia (seppur non perfetta) tra i vari capi delle statuizioni in materia di divorzio, disancorando – a certe condizioni – le statuizioni di carattere patrimoniale da quelle sullo status.

Da ciò deriva che la morte del coniuge verificatasi successivamente al passaggio in giudicato della pronuncia parziale di divorzio non comporta l’estinzione del giudizio tout court, potendo invece questo proseguire anche solo al fine di giungere ad una statuizione in punto di assegno divorzile.

Nell’ottica della Suprema Corte, la conclusione è indotta anche e soprattutto dalla riflessione per cui il processo di divorzio mira anche a tutelare una serie di diritti fondamentali relativi alle primarie esigenze della parte eventualmente sul piano economico meno solida, nonché dei figli della coppia.

Su queste premesse, appare pregevole il superamento della concezione per cui l’intero thema decidendum dei giudizi di divorzio sia permeato e dipendente dalla domanda principale inerente allo status, così che, venuta meno quest’ultima, tutte le altre statuizioni di cui era stato investito il giudice perdessero rilevanza sul piano processuale (e, quindi, divenisse sostanzialmente privo di tutela anche il diritto sostanziale ad esse sotteso).

Se, infatti, è vero che la domanda di assegno “poggia” sulla domanda di modifica dello status, è pur vero che il legame può scindersi, in costanza di giudizio, per effetto della pronuncia parziale sulla domanda principale. Invero, tale legame non sarebbe indissolubile, tanto che, una volta passato in giudicato il capo costitutivo sullo status, la domanda per l’assegno (che, a quel punto, dovrebbe considerarsi di carattere meramente patrimoniale, avendo perso il carattere di diritto “personalissimo”) si autonomizzerebbe e potrebbe essere proseguita anche nei confronti degli eredi del coniuge deceduto.

Così, dalla premessa che la domanda di assegno post-matrimoniale può avere un suo, autonomo, svolgimento contenzioso, e può formare oggetto esclusivo della materia del contendere, quando ormai non si discuta più del divorzio, ma solo dell’an e del quantum della relativa obbligazione, si fa discendere la conseguenza che la morte del coniuge non elide il diritto del coniuge superstite all’accertamento determinativo della misura dell’assegno post-matrimoniale, di cui si stia ancora discutendo in causa, per il periodo dal passaggio in giudicato del capo di sentenza sul divorzio alla data della morte del coniuge obbligato.

L’impostazione e l’orientamento fatti propri dalla Suprema Corte paiono offrire un maggiore spazio alla tutela del coniuge superstite, il quale potrà vedersi riconosciuto un diritto patrimoniale, da farsi valere nei confronti degli eredi del de cuius, maturato prima della morte del coniuge obbligato e che sarebbe sconveniente negargli solo in forza di un evento imprevedibile quale la morte del coniuge.

Avv. Roberto Alemanno

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