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Assegno divorzile e convivenza prematrimoniale: percorsi giurisprudenziali

Assegno divorzile e convivenza prematrimoniale: percorsi giurisprudenziali
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Parlando di crisi coniugale, il tema dell’assegno divorzile, della sua attribuzione e determinazione, occupa una posizione assolutamente centrale.

Con riferimento al quadro normativo, la disciplina dell’assegno divorzile si trova nell’art. 5 comma 6 della legge n. 898 del 1970, secondo cui «Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».

La disposizione ci pare, tutto sommato, chiara. Essa indica una lunga serie di criteri che, valutati alla luce della durata del matrimonio, devono essere presi in considerazione dal giudice per determinare la spettanza dell’assegno (che i giuristi chiamano “an”) e il suo ammontare (che i giuristi chiamano “quantum”).

Stupirà scoprire, allora, che la disposizione che disciplina l’assegno divorzile è stata oggetto di molteplici e varie interpretazioni giurisprudenziali, che si sono continuamente susseguite nel tempo. Sicché, in momenti storici diversi, l’assegno di divorzio è stato attribuito e quantificato in modi diversi.

L’interpretazione tradizionale (Cass. sez. un., 29/11/1990, n. 11490), che ha retto per più di vent’anni, si fondava sul noto criterio del “tenore di vita avuto in costanza di matrimonio”. Mi spiego meglio: il giudice decideva la concessione, o meno, dell’assegno divorzile sul presupposto dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante a conservargli il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio. In quest’ottica, i criteri indicati dalla disposizione venivano utilizzati, a discrezione del giudice, solo in un secondo momento, per determinare il quantum dell’assegno. Così congeniato, l’assegno divorzile rispondeva ad una finalità essenzialmente assistenziale.

Nel 2017 una pronuncia della Cassazione (n. 11504 del 10/05/2017) metteva in dubbio il criterio del “tenore di vita”, ritenendo che, ai fini della decisione sull’assegno, l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante debba completamente prescindere da tale criterio.

Era l’occasione per ripensare tutta la disciplina dell’assegno divorzile. Così, le Sezioni Unite della Cassazione (n. 18287 del 11/07/2018) proponevano una nuova interpretazione, tuttora seguita dalla giurisprudenza, secondo cui l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, che è presupposto per l’attribuzione dell’assegno, andrebbe valutata alla luce dei criteri indicati dall’art. 5 comma 6, e cioè le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi, il tutto sempre in rapporto alla durata del matrimonio. In particolare, ai fini dell’attribuzione e determinazione dell’assegno di divorzio, è fondamentale valutare comparativamente le condizioni economiche dei coniugi, alla luce del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio familiare. Si tratta, dunque, di accertare se l’eventuale disparità economica tra i coniugi sia dovuta (e in che misura sia dovuta) a sacrifici professionali o scelte di vita familiare adottate durante il matrimonio.

In questo quadro giurisprudenziale, il criterio della durata del matrimonio, indicato nell’art. 5 comma 6 della legge n. 898 del 1970, acquista una rilevanza – dicono le Sezioni Unite – “cruciale” poiché il contributo dei coniugi alla vita e al patrimonio familiare si misura anche in relazione alla durata dell’unione matrimoniale. Ciò per un fatto semplice: un matrimonio duraturo implica, verosimilmente, un contributo protratto nel tempo e, per questo, significativo.

Il criterio della durata, nella formulazione legislativa e nell’interpretazione giurisprudenziale, si riferisce unicamente al matrimonio. E, così, veniamo al punto.

Nel caso in cui il matrimonio è preceduto da un periodo di convivenza (definita, appunto, prematrimoniale), tale periodo può essere utilizzato, unitamente alla durata del matrimonio, come criterio per stabilire l’assegnazione e la quantificazione dell’assegno divorzile? In altre parole, la durata della convivenza prematrimoniale può acquisire rilievo ai fini delle valutazioni in tema di assegno divorzile?

Oggi, a seguito della pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n. 35385 del 18/12/2023, si può dare risposta positiva.

La sentenza, infatti, ha introdotto una novità nella disciplina dell’assegno divorzile, affermando che, a certe condizioni (di cui si dirà nel prosieguo), il giudice può prendere in considerazione anche il contributo dato dal coniuge richiedente durante il periodo di convivenza prematrimoniale.

Partiamo dal caso in esame: la ricorrente lamenta che, nel giudizio di appello, la Corte abbia limitato la valutazione sulla spettanza dell’assegno divorzile richiesto alla durata del matrimonio, senza tenere in considerazione il ruolo familiare svolto anche durante gli anni di convivenza prematrimoniale.

Le Sezioni Unite, dopo aver ripercorso l’evoluzione della giurisprudenza in tema di assegno divorzile e dopo aver svolto riflessioni sulla disciplina giuridica della convivenza (definita «fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società»), osservano che «Non può quindi, all'esito dell'attuale definizione dei presupposti dell'assegno divorzile, escludersi che una convivenza prematrimoniale, laddove protrattasi nel tempo (nella specie, sette anni), abbia "consolidato" una divisione dei ruoli domestici capace di creare "scompensi" destinati a proiettarsi sul futuro matrimonio e sul divorzio che dovesse seguire».

In altri termini, le Sezioni Unite riconoscono che anche le scelte adottate dai coniugi nel corso della convivenza prematrimoniale possono (contribuire a) generare un divario reddituale tra gli stessi. Divario che, poi, è rilevante ai fini delle decisioni in materia di assegno divorzile.

Per usare parole ancora diverse, le Sezioni Unite riconoscono che il contributo familiare dei coniugi nella fase della convivenza prematrimoniale rappresenta un criterio di cui il giudice potrebbe tener conto al fine di valutare l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente l’assegno.

Si accennava, sopra, che la convivenza prematrimoniale può rilevare per le valutazioni in tema di assegno divorzile ad alcune condizioni, che si indicano qui di seguito:

  • la convivenza prematrimoniale deve assumere connotati di stabilità e continuità tali per cui i conviventi abbiano effettivamente elaborato un progetto di vita comune;
  • la continuità tra l’unione familiare instaurata con la convivenza e quella proseguita nel matrimonio, sì da poter delineare una storia familiare unitaria;
  • il nesso di causa tra la sperequazione dei mezzi economici dei coniugi e il contributo fornito dal coniuge richiedente l’assegno al ménage familiare negli anni della convivenza;
  • il nesso di causa tra le scelte compiute durante la convivenza e quelle compiute durante il matrimonio.

La pronuncia qui esaminata può considerarsi interessante per due ordini di ragioni.

Anzitutto perché, con un’interpretazione evolutiva, allarga le maglie della verifica che il giudice è chiamato ad effettuare in tema di assegno di divorzio.

In secondo luogo, perché, seppur dal limitato punto di vista dell’assegno divorzile, attribuisce un qualche rilievo giuridico alla convivenza prematrimoniale, valorizzando l’unicità della storia familiare.

La continua evoluzione giurisprudenziale della materia impone di affrontare il giudizio di divorzio con l’assistenza di legali esperti in diritto di famiglia, i quali potranno guidarvi nel labirinto del diritto vivente.

Dott.ssa Alessia Conti, Avv. Matteo Notaro - Studio Legale Notaro e Associati

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