L'intervista

Finisce l'era del sindaco Brivio: "Per me ne è sempre valsa la pena"

Il primo cittadino di Osnago racconta dieci anni alla guida del paese, tra momenti difficili e soddisfazioni

Finisce l'era del sindaco Brivio: "Per me ne è sempre valsa la pena"
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Mantiene il suo indiscusso aplomb, un vero e proprio marchio di fabbrica, anche a pochissimi mesi dalla fine del suo secondo mandato da sindaco, al termine di una carriera amministrativa che lo vedrà a breve appendere al chiodo la fascia tricolore e sedersi nel consesso dei saggi osnaghesi accanto ai suoi predecessori Marco Molgora e Paolo Strina.
Restano pochi incarichi da concludere, l’adozione del Pgt in testa, e poi Paolo Brivio, 57 anni, 20 dei quali in Consiglio comunale, potrà tornare a dedicarsi corpo e anima alla professione di giornalista e alla sua famiglia.

L'intervista al sindaco Brivio di Osnago dopo dieci anni

Sindaco, come si è avvicinato alla politica attiva?
«Sin da ragazzo mi sono sempre interessato ai temi sociali e politici, sia come cittadino sia come volontario Acli, per esempio durante la guerra in Bosnia. Quando mi hanno proposto di entrare nella lista di Progetto Osnago ho accettato perché mi è sembrata un’occasione per vivere ancora più da vicino quei temi, l’ho vista come una nuova pagina di vita coerente con tutto il mio percorso precedente».

Quali sono stati i suoi modelli politici?
«Inizialmente non ne avevo, ma mi sono sicuramente riconosciuto da un lato nei modelli e nello stile proposto dai miei predecessori di Progetto Osnago, dall’altro nell’esperienza di Romano Prodi e dell’Ulivo. Ad oggi un mio modello è sicuramente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, soprattutto perché incarna perfettamente l’atteggiamento che le istituzioni dovrebbero mantenere nei confronti dei cittadini. Il suo essere super partes, poi, non è un astrarsi dalla realtà, ma piuttosto un proporsi come garante della libera espressione e della dialettica costruttiva».

Il momento più brutto che ha vissuto come sindaco?
«Il momento più brutto l’ho vissuto proprio seduto a questa scrivania (nel suo ufficio in municipio, ndr). Era la seconda metà di marzo del 2020, era da poco scoppiata la pandemia e ho sentito suonare un’agonia: era il primo morto di Covid in paese. Fuori dalla finestra era tutto raggelato, non passava nessuno e l’unico rumore che si sentiva era quello delle ambulanze. Ai momenti brutti aggiungerei anche altri giorni di lutto, come la morte di don Costantino Prina, la morte di Francesco Galli, altre morti di bambini e di giovani. E soprattutto il giorno della morte di Franco e Rossana Iantorno; oltre al dolore per le due persone, che conoscevo bene, quell'evento tragico ha segnalato che ancora non riusciamo a dare risposte convincenti a chi vive lunghe e faticose esperienze di malattia, di fragilità, di disabilità».

E il momento più bello?
«Anche il momento più bello è legato al Covid: 250 persone tutte insieme ad assistere a un concerto sulla nostra collinetta di fronte al cimitero, in quell’epoca più che mai simbolo di dolore e lutto. Quel momento ha segnato la possibilità di una rinascita collettiva».

La critica che più l’ha ferita?
«Direi nessuna perché so farmele scivolare addosso e sono solito confrontarmi con la mia coscienza. Con mia moglie ho riso quando la stampa in due momenti diversi ma ravvicinati mi definì prima scalmanato e poi ipermoderato... Ho avuto una crisi d'identità, non sapevo più se ero un piromane o un pompiere».

E le frecciate ricevute in Consiglio comunale?
«Ho grande rispetto delle istituzioni e non ho apprezzato la deriva del confronto politico negli ultimi anni, con toni tipici dei peggiori talk show. Ho fatto 100 Consigli comunali, pensare di farne altri 50 con questa atmosfera non mi attrae».

Il traguardo di cui va più fiero?
«Una grande soddisfazione è l’asilo nido che stiamo costruendo accanto alla scuola dell’infanzia. Non è solo un’opera ma rappresenta una visione educativa unitaria che deve partire sin dalla più tenera età. Ci sono però anche tante altre piccole cose, episodi che riguardano i bisogni di singoli cittadini a cui sono riuscito a dare una risposta, come per esempio l’avere il prete a casa per una preghiera quando nell’era Covid non era possibile celebrare i funerali».

Cassinetta e mancata fusione restano un cruccio

Il rammarico più grande per qualcosa rimasto in sospeso?
«La Cassinetta resta un cruccio, anche se continuo a guardarla come un’opportunità nell’orizzonte dei servizi per le persone fragili e gli anziani. Allo stesso modo anche la mancata fusione con Lomagna, Cernusco e Montevecchia: sarebbe stata un grande passo per il territorio e per le infrastrutture amministrative, ma in quel caso i cittadini erano più pronti dei politici».

Una volta in cui ha pensato «Chi me l’ha fatto fare?»
«Tutte le volte che ho chiesto sacrifici in termini di tempo alla mia famiglia e tutte le volte che mi sono scontrato con l’assurdità di certe norme, come quella volta in cui il patto di stabilità ci impedì di comprare sedie nuove per lo Spazio De André appena ristrutturato. Di sacrifici ce ne sono stati tanti ma ne è valsa la pena. Per le esperienze, per quello che ho imparato, per essere riuscito ad influire anche solo in minima parte sulla vita del paese o di un cittadino».

Cosa le mancherà del suo ruolo?
«La responsabilità di de-cidere, nel senso etimologico di tagliar via, come fa chi pota una pianta per farla crescere meglio. Non sempre si fa la scelta giusta, però avere la possibilità di in-cidere su una realtà è una cosa che dà senso a un lavoro, a un servizio, in definitiva a un'esperienza di vita».

Avrebbe potuto tentare un terzo mandato, perché non l’ha fatto?
«Da un lato perché credo che sia giusto, dopo dieci anni, cambiare, altrimenti è facile credersi dei piccoli reucci e ritenersi indispensabili quando non lo si è. Dall’altro per una questione personale: dopo un po’ diventa logorante dividersi tra Amministrazione, famiglia e lavoro».

Lei è un giornalista, è anche stato direttore del mensile della Caritas Ambrosiana Scarp de' Tenis. Com’è stato rapportarsi con la stampa per un sindaco-giornalista?
«Certi attacchi, come quelli su Retesalute, li avevo messi in conto, penso però che la politica non debba farsi influenzare nelle scelte da giornali e pressione mediatica. Per questo ho sempre preferito mantenere uno stile sobrio e distaccato».

L'Ambito e la mancata corsa per la presidenza della Provincia

Cosa le lascia il suo ruolo come presidente dell’Ambito di Merate?
«E’ stato un ruolo impegnativo sommato a quello di sindaco, considerando poi che comporta molta fatica ed è senza compenso. Mi auguro però di aver contribuito a pensare un Welfare più avanzato sul nostro territorio, perché oggi paghiamo un ritardo culturale che ci penalizza».

E’ arrivato anche ad un passo dall’essere candidato a presidente della Provincia, cosa non ha funzionato?
«Non nascondo che mi sarebbe piaciuto affrontare una simile esperienza, proprio in nome della mia attitudine a occuparmi di politiche di carattere sovracomunale. Poi però, cose che succedono in politica, alcuni non mi hanno confermato il sostegno che mi avevano promesso e altri non mi hanno dato il sostegno che avrebbero dovuto: una scelta legittima, evidentemente non caratterizzata da grande fiuto politico né, di conseguenza, da fortuna elettorale».

Per il futuro guarda ad altri ruoli politici, magari in Regione o più in alto?
«Fare attività politica mi è piaciuto, ma per adesso mi prenderò una pausa. Non sono un ambizioso, vedremo se il futuro mi riserverà nuove opportunità di impegno e di servizio».

E come sfrutterà il ritrovato tempo libero?
«Sicuramente riposando (ride, ndr). Starò con mia moglie e con le mie figlie, mi dedicherò di più al lavoro, visto che per il mio incarico da sindaco avevo un po’ ridotto il carico. Poi tornerò a viaggiare, a leggere e a fare sport».

"Spero che Osnago sappia restare coesa pur con un'identità in evoluzione"

Un consiglio per chi verrà dopo di lei, che sia Felice Rocca di Progetto Osnago o qualcun altro.
«Avere rispetto dell’autonomia del lavoro degli Uffici comunali, credere nella cooperazione tra Comuni e soprattutto fare di tutto per preservare la vivacità culturale, associazionistica, imprenditoriale e sociale di Osnago».

Cosa si augura per il futuro di Osnago e dei suoi cittadini?
«Mi auguro che Osnago sappia essere quello che ha rappresentato Oganòs (progetto di teatro di comunità che nel 2023 ha raccontato le storie di diversi osnaghesi, ndr), cioè un paese che è figlio della tradizione e della storia di una comunità che è però in grado di rileggerla e rileggersi arricchendosi di nuove culture, realtà ed esperienze nell’ottica dell’inclusione. Questa è la vera ricchezza che mi auguro per la mia comunità: rimanere coesi ma con un’identità in evoluzione».
Gloria Fendoni

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