Il coraggio di un uomo

Quattro anni senza Ricky, il papà Marco: "Tutti i giorni inizio la giornata salutando Riccardo e la finisco nello stesso modo"

"Eravamo a sciare io e lui all’Aprica. Gli si è fermato il cuore, senza alcun preavviso. Lo hanno portato all’ospedale di Bergamo, ma dopo tre giorni hanno dovuto spegnere la macchina perché il cervello era stato senza ossigeno troppo a lungo. Abbiamo deciso subito di donare i suoi organi, come lui stesso avrebbe voluto"

Quattro anni senza Ricky, il papà Marco: "Tutti i giorni inizio la giornata salutando Riccardo e la finisco nello stesso modo"
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«Tutti i giorni inizio la giornata salutando Riccardo e la finisco nello stesso modo». Non è solo il ricordo del figlio, volato via troppo presto. E’ la certezza di vivere ogni istante della giornata con lui ancora al fianco. Marco Galbiati, 49 anni a giugno, è un affermato imprenditore nel campo del taglio dell’acciaio. Insieme ai fratelli Fabio e Davide, a tre cugini (Luca, Daniela e Massimo), al papà Vittorio e allo zio Sergio, ha dato vita a un piccolo impero. Ma le sue giornate ruotano intorno a due simboli, un cuore e una stella, ai segni che suo figlio non smette mai di inviargli e che diventano concreti agli occhi di chi osserva la sua serenità. «Sono sposato con Miriam Colombo e ho tre figli, Cecilia, Vittoria e Riccardo, che purtroppo è un angelo - l’incipit del suo racconto - L’ho perso quattro anni fa, quando aveva 15 anni. E’ un angelo che oggi mi protegge mi consiglia».

Ci vuole raccontare come è successo?

«Eravamo a sciare io e lui all’Aprica. Gli si è fermato il cuore, senza alcun preavviso. Lo hanno portato all’ospedale di Bergamo, ma dopo tre giorni hanno dovuto spegnere la macchina perché il cervello era stato senza ossigeno troppo a lungo. Abbiamo deciso subito di donare i suoi organi, come lui stesso avrebbe voluto».

Che linea ha scelto per ricordare Riccardo

«Perdere un figlio è una prova davvero difficile. Penso sempre che lui voleva vedere un papà scherzoso, sorridente, impegnato, come sono sempre stato. Per cui mi capita, quando sono triste, di pensare che Riccardo non mi avrebbe voluto così. Lui mi ha lasciato grandi insegnamenti, come il valore dell’amicizia, che ho conosciuto attraverso i suoi compagni, della lealtà. Quindi è giusto che io segua la sua strada. Dico sempre che lui usa me per fare le sue cose. Per esempio sono diventato presidente della scuola di Casargo, dell’Apaf, perché Riccardo voleva fare lo chef. Ricordo quando mi ha comunicato la sua decisione e io avevo pensato: “Ma come, con tutte le aziende che potrebbe avere, vuole fare lo chef?”. Poi ho capito la sua passione ed è andato a Casargo a studiare. Quando lui è mancato, mi hanno chiesto se volevo diventare presidente e ho accettato molto volentieri. Riccardo ci credeva in questo percorso e i suoi compagni ci sono stati molto vicino, quindi mi sembrava giusto ridare loro qualcosa».

Come va oggi la scuola?

«Adesso stiamo partendo con un hotellerie didattico, grazie a un grosso finanziamento di Regione Lombardia. Poi abbiamo dato vita al ristorante didattico, rilevando il Porticciolo. Era il sogno di Riccardo avere un ristorante».

Come fa a conciliare due mondi così diversi, come l’acciaio e la cucina?

«Fa parte del mio carattere, mi piace fare tante cose diverse. Per esempio negli ultimi due anni ho investito molto anche in una start up: si tratta di un robot che entra nello stomaco e opera. Mi avevano invitato un giorno a vedere questa start up cinque anni fa, mi hanno chiesto di diventare presidente per dare un impulso al progetto e abbiamo trovato un grande fondo che ha investito e adesso sta andando alla grande».

Ma come fa ad avere il tempo per tutte queste cose?

«Ho imparato a delegare. Lavoro anche più di 12 ore al giorno, ma la cosa importante rimane sempre la qualità di tutto quello che fai. Se sei bravo a insegnare agli altri il lavoro, poi hai più tempo per te stesso. Mio zio mi ha sempre insegnato che un leader si vede quando non c’è, perché se l’azienda va avanti anche senza di lui vuol dire che ha insegnato bene agli altri».

la famiglia?

«Ho vissuto la situazione di Riccardo e quindi ho capito l’importanza del valore delle persone che ti stanno accanto. Rimane sempre importante la qualità dei momenti che trascorri in famiglia. Per esempio il sabato e la domenica io non lavoro, sono completamente dedicati alla famiglia».

Ha qualche passione particolare?

«La montagna. Sin da piccoli mio papà ci portava a fare funghi e abbiamo da sempre questo amore per tutto ciò che è montagna, dallo sci, alle ciaspole, alle camminate... Ho avuto la passione per il calcio, ma ho smesso presto. E poi anche la pesca subacquea, che praticavo con Riccardo: ricordo un anno che sono andato con lui alle Maldive, ha preso il brevetto da sub e voleva andare sempre più giù».

Riccardo torna sempre, in ogni discorso, in ogni ricordo. Quanto ha cambiato la sua vita questa esperienza?

«Mi ha insegnato che oggi ci sei e domani no, quindi il più grosso insegnamento che mi ha dato mio figlio è stato quello di dare sempre il massimo in ogni situazione, nella speranza che quello che faccio un domani possa servire a qualcuno altro. In suo onore ho quindi fondato l’associazione “Il tuo cuore è la mia stella”, con la quale organizziamo diversi eventi di raccolta fondi. Per esempio avevamo in programma una cena a Milano con lo chef Carlo Cracco, per l’ospedale di Bergamo. Sono molto stimolato a fare belle cose. Mio figlio mi ha cambiato la vita, in tutti i sensi. Dalla drammaticità di aver perso un figlio, al dolore che ti porti dentro e ti scava: tutti i giorni in qualsiasi momento sento la sua presenza».

In che modo?

«Dialogo costantemente con lui, anche ad alta voce. Quando devo prendere una decisione chiedo sempre a lui cosa fare e lui mi risponde. Ho un cuore che mi segue. Quando chiedo aiuto vedo sempre un cuore o, al mattino, una stella e la sua voce che mi dice: “Papà stai tranquillo”».

Da dove proviene il nome che ha scelto di dare all’associazione in memoria di Riccardo?

«Qualche mese dopo la morte di Ricky stavo facendo un viaggio a Bari: nel tornare sono salito sull’aereo e guardavo le foto. Piangevo. Poi l’aereo è partito e ho chiuso il telefono, chiedendo il suo aiuto per passare quel momento. Lui mi ha risposto: “Papà, sono qui”. Ho guardato fuori e ho visto una luminosissima stella. Gli ho chiesto: “Sei la stella?”. Mi ha risposto: “Sì, sono io”. Ho dialogato per lui per tutto il viaggio. Ho fotografato la stella diverse volte. Quando sono atterrato ho cancellato un po’ delle foto che avevo fatto, ma una proprio non si voleva cancellare. Guardandola bene ho notato che il flash aveva disegnato una sorta di cuore, con la stella in mezzo. Da lì è nato il nome dell’associazione: “Il tuo cuore è la mia stella”. Da quel momento ho avuto molti altri segni simili e ho cominciato a dialogare con lui».

 

Ci vuole raccontare qualche altro episodio?

«Ho avuto la fortuna di conoscere il ragazzo che ha ricevuto un rene di Riccardo. Era il 13 luglio e stavo raccontando a lui e alla moglie di queste continue apparizioni di cuori nei momenti cruciali della mia vita. Loro mi hanno confessato che non potevano avere figli. Quel giorno, quando è andato in bagno ed è tornato indietro, mi ha fatto vedere il braccio dove aveva appena fatto un prelievo del sangue e aveva il livido a forma di cuore. Il 13 luglio dell’anno dopo hanno avuto una bambina».

Dall’esterno sono cose che si fa fatica a comprendere.

«Lo so. Chi ha subito traumi così forti ha una sensibilità diversa, dalla quale può trarre la forza per andare avanti».

Razionalmente, secondo lei, c’è un confine tra la suggestione e la voglia di immaginarsi tutto per avere sempre suo figlio con sé?

«Io sono certo che ogni volta che chiedo aiuto lui arriva. Mi è capitato più di una volta che, chiamato a un tavolo per una trattativa molto importante, ho trovato un cuore sul tavolo e poi ho deciso nel modo migliore. La mia forza da subito è stata quella di riuscire a trasformare il dolore e la negatività in positività per me o per il prossimo. Se ti fai travolgere da questo dolore non puoi vivere, invece Riccardo mi sta usando per fare diverse cose che senza di lui non avrei mai fatto».

Progetti per il futuro?

«Stiamo scrivendo la sceneggiatura di un film, che racconterà la storia di mio figlio».

Riesce a trasmettere la sua forza a genitori che hanno subito il suo stesso dolore?

«Un messaggio che mi piacerebbe mandare è che nonostante una situazione difficile come quella di perdere un figlio è possibile rialzarsi e fare ancora di più. Mi chiamano tanti genitori per chiedermi come faccio, sono molto arrabbiati. Io sono sereno e questa serenità me la trasmette Ricky tutti i giorni».

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