Emergenza Covid-19

"Niente più autopsie in tempo di Coronavirus, a parte gli omicidi"

Intervista al dottor Paolo Tricomi, storico anatomopatologo dell'azienda sanitaria

"Niente più autopsie in tempo di Coronavirus, a parte gli omicidi"
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«Niente autopsie se c’è il sospetto che il paziente sia morto di Covid-19». Il dottor Paolo Tricomi, 71 anni (da 45 anni anatomopatologo per l’azienda sanitaria) si è messo in autoquarantena con la moglie Melita (volontaria in diverse associazioni). Del resto il procuratore di Milano, Francesco Greco, in una circolare interna ha deciso di sospendere li esami autoptici per «ragioni di sicurezza». Quindi, «tranne alcune eccezioni - si legge nella circolare - come nei casi di omicidio volontario, i pm dovranno disporre la restituzione delle salme alle famiglie o all’autorità sanitaria».

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Il dottor Paolo Tricomi: "Niente più autopsie in tempo di Coronavirus, a parte gli omicidi"

Spiega il dottor Tricomi: «Anche le autopsie in tempo di Coronavirus diventano molto pericolose. Per questo, fino alla fine dell'emergenza sanitaria non saranno più eseguite. Tutte, tranne quelle indispensabili che vengono effettuate all’ospedale Sacco di Milano attrezzato per i casi di decesso da malattie infettive». E che è già oberato di lavoro si potrebbe aggiungere.
Il dottor Tricomi si trova in quarantena volontaria già dal 12 marzo. «Quando sono scattate le misure restrittive ho deciso di chiudermi nella mia casa. Continuo a lavorare al computer (stendo le mie relazioni), effettuo esami istologici, leggo parecchio, mi informo. Forse, tutto sommato, avevo bisogno di una pausa».
Consigli comportamentali, il patologo non ne ha da dare. «A fronte di una patologia non nota, ognuno fa per sé. Mia moglie per esempio, quando fa la spesa, impiega un’ora a lavare tutte le confezioni prima metterle in frigo o in dispensa. Ho molti amici sul campo che si attengono scrupolosamente ai protocolli. Si favoleggia di un test da 5 euro messo in campo dall’Università di Pavia. Qualora fosse disponibile mi sottoporrei subito, anche se per ora, non ho avuto alcun sintomo. Ma chissà potrei averlo contratto comunque».

Visto che è in quarantena volontaria in che modo potrebbe aver preso il Covid-19?

«Ho lavorato fino al 12 marzo. Prima di chiudermi in casa (come dovrebbero fare tutti quanti) ho girato parecchio tra Sondrio, Como e Menaggio. Dalla metà di gennaio alla metà di marzo ho effettuato diversi esami autoptici magari alcuni pazienti erano positivi. Non lo posso sapere».

Che idea si è fatto del Coronavirus?

«Direi che in questo periodo si sa ben poco. Leggo di tanti professori che pontificano sul Covid-19 in una specie di catena di Sant’Antonio scientifica. Ma a ben guardare non ne sanno molto neppure loro. Mentre mi trovo in quarantena ho seguito un corso online (con test finale che ho passato) destinato a noi medici. Nel corso si diceva: oggi ti diciamo questo sul Covid-19, fra 15 giorni potremmo dover aggiornare le lezioni. La situazione si evolve in continuazione»

E lei che idea si è fatto?

«Il dato di fatto è che fino a tre mesi fa questo virus era praticamente sconosciuto. Oggi i pazienti vengono sottoposti a terapie antivirali e antibiotiche di supporto. Sembra che il virus sia diffuso maggiormente in alcune latitudini piuttosto che in altre. Non si capisce il motivo per cui prediliga determinate aree e colpisca maggiormente alcune persone piuttosto che altre. Potrebbe essere un fattore genetico, di risposte immunitarie e magari anche l’alimentazione aiuta. E’ nel nostro paese da metà gennaio e non ce ne siamo accorti subito per questo c’è stata la gran botta».

Quando tornerà al lavoro?

«Non appena si allenteranno le misure mi renderò subito disponibile».

 

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