Il personaggio

Il sindaco Giovanna De Capitani si racconta in un'intervista confessione

Discreta, perfezionista ma anche ironica: "Quando mi sono candidata forse l'ho fatto con incoscienza"

Il sindaco Giovanna De Capitani si racconta in un'intervista confessione
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Giovanna De Capitani deporrà la fascia da sindaco di Cernusco Lombardone tra pochi mesi, dopo dieci anni durante i quali è riuscita ad essere allo stesso tempo primo cittadino, imprenditrice e mamma.

Chiacchierata a cuore aperto con il sindaco Giovanna De Capitani

Elegante, discreta, perfezionista ed insospettabilmente ironica: in una lunga chiacchierata il sindaco Giovanna De Capitani, 61 anni, ci ha svelato soddisfazioni e dispiaceri di un ruolo che ha assunto «forse con un po’ di incoscienza».

Come è arrivata a Cernusco e com’è nato il suo impegno amministrativo?

«Io e mio marito siamo di Milano, dopo il matrimonio abbiamo deciso di lasciare la città e inizialmente ci siamo trasferiti a Cusano Milanino. I miei genitori erano originari rispettivamente di Olgiate e Rovagnate e così abbiamo cercato casa in questa zona, trovandone una che faceva al caso nostro a Cernusco. I primi anni lavoravamo entrambi a Milano e le nostre giornate erano assorbite dall’educazione dei nostri due figli, ma nel 2001, durante l’Amministrazione di Sergio Bagnato, sono entrata a far parte della Consulta Istruzione, della quale sono poi diventata presidente. Mio marito era nella Consulta Cultura, perché visto che i figli crescevano volevamo un po’ inserirci nel paese. In vista delle elezioni del 2011 l’allora sindaco mi chiamò e iniziò ad introdurmi nel gruppo «Insieme per Cernusco», all’interno del quale maturò poi la decisione della candidatura. Con il senno di poi, forse, mi sono buttata con incoscienza, anche perché non avrei mai immaginato il carico di lavoro che c’è dietro un ruolo come quello del sindaco».

Si aspettava la prima vittoria?

«Assolutamente no. Gli altri candidati erano Renata Valagussa e Giovanni Zardoni ed io ero ancora vista un po’ come una forestiera. Fino ad allora in paese mi chiamavano «La sposina di Milano», perché arrivavo da fuori, avevo due bimbi piccoli, non conoscevo molte persone. E invece sarò sempre grata ai cernuschesi che mi hanno dato fiducia: non solo mi hanno inclusa nella loro comunità, ma mi hanno anche scelta come sindaco. Ho sempre sentito tutto il peso e la responsabilità di questo ruolo».

E’ stato difficile essere allo stesso tempo sindaco, imprenditrice, moglie e madre?

«Di sicuro tutti questi ruoli non mi hanno lasciato molto tempo libero. Io ho un grande difetto, che è quello di essere un po’ accentratrice, ma non perché io voglia comandare, ma perché in passato ho avuto esperienze negative quando ho delegato troppo. Così, pur lasciando l’autonomia alla mia Giunta che ritengo veramente competente e valida, ho sempre voluto ricontrollare tutto, trovandomi così ad avere una mole di lavoro sempre più imponente. Poi sono una perfezionista, i primi sei mesi da sindaco li ho passati a studiare giorno e notte perché volevo essere preparata su tutto».

Il momento più bello e quello più brutto?

«Quello più brutto l’esito del processo con lo stradino Santo Bianco. Tutti hanno capito cosa fosse successo e per me, come sindaco, era importante dare un segnale, ovvero che non si prendono in giro i cittadini rubando lo stipendio; avrei voluto finisse diversamente. Di momenti belli ce ne sono stati tanti, per esempio tutti i pranzi con gli anziani oppure tutte le iniziative legate alla scuola, come le visite agli alunni o la più semplice imbiancatura».

La critica che le ha fatto più male e il complimento che le ha fatto più piacere?

«Mi hanno ferito molto le lettere anonime e ne ho ricevute diverse. Le ho trovate vigliacche, soprattutto una in cui venivo apostrofata come “Duce” per l’ipotesi di spostare il monumento ai Caduti in piazza della Vittoria. Sono sempre stata molto disponibile e la porta del mio ufficio è sempre aperta, avrei preferito che certe cose venissero a dirmele di persona, ma poi ho pensato che fossero solo il risultato di una grande infelicità personale di questi individui. Ho ricevuto anche tanti complimenti, ma quello più grande è stato il riconoscimento del lavoro fatto in questi dieci anni».

Una volta in cui ha pensato «Chi me l’ha fatto fare»?

«Ogni volta in cui ho dovuto affrontare un Consiglio comunale e sentivo di non avere le competenze specifiche, appunto perché sono una perfezionista. Fortunatamente mi hanno sempre sostenuto e arricchito le competenze dei miei assessori, ma ogni volta studiare tutti gli atti era un po’ come preparare un esame all’università».

E una volta in cui ha pensato «Mi mancherà fare il sindaco»?

«Sempre, perché ho vissuto questo incarico con grande passione. Spero solo di non essere uno di quegli ex sindaci o di quegli anziani che si lamentano sempre dell’operato degli amministratori».

Qualcosa che avrebbe voluto fare per Cernusco ma non è riuscita a fare?

«Sicuramente una palestra adeguata a tutte le nostre società sportive, che sono in crescita ma si devono adattare a degli spazi insufficienti».

E invece qualche intervento che non era nei suoi piani e poi si è concretizzato?

«In primis tutto il lavoro di riqualifica sulla stazione, che purtroppo a causa del Covid ha subito dei rallentamenti. E’ stata una bella soddisfazione anche la creazione di un polo di formazione per gli adulti».

Ci racconti un po’ la sua giornata da sindaco. A che ora si alza?

«Mi alzo alle sette ma ormai, con i figli grandi e fuori casa, non ho grandi colazioni da preparare. Alle 8.30 arrivo in Comune, dove resto fino alle 13.30, sabato compreso. Torno a casa a mangiare perché me lo ricorda mio marito, in dieci anni di mandato ho perso 10 kg, uno all’anno. L’orario di pranzo è il migliore per lavorare in municipio, ci sono meno urgenze e telefonate. Nel pomeriggio seguo la mia società di management artistico, più o meno fino alle 20. La sera, poi, ci sono sempre riunioni, incontri e ulteriore lavoro da sbrigare. Fortunatamente ogni tanto riesco ad avere qualche serata libera, così mi rilasso stirando».

Ci dica qualcosa di Giovanna De Capitani che in pochi sanno.

«Oltre che amo stirare e invece non sopporto pulire i vetri? (ride, ndr). Mi piace molto preparare torte salate e poi ho due grandi passioni che ho un po’ abbandonato quando sono diventata mamma: suonare il piano e dipingere la ceramica».

Pur essendo a capo di un’Amministrazione di centro-sinistra, spesso accostata al Pd, non si è fatta problemi ad assumere posizioni lontane dalle linee dettate dai partiti, basti pensare al caso di Retesalute. E’ stato difficile?

«No, non lo è stato per il semplice motivo che, pur condividendo gli ideali del centro-sinistra, non ho mai voluto una tessera di partito e di volta in volta ho assunto una posizione che fosse in linea con i miei valori. A dirla tutta non mi sono mai nemmeno sentita appoggiata dal Pd, soprattutto durante la seconda campagna elettorale».

In quest’ultimo mandato si è trovata a dover rivedere, insieme alla sua Amministrazione, alcune decisioni, basti pensare a piazza della Vittoria o alla questione dei bitumi. E’ stata dura fare un passo indietro?

«No, perché credo che la chiave di ogni scelta sia l’ascolto. Per quanto riguarda piazza della Vittoria sono convinta che il paese non sia ancora pronto a cambiare e che per buona parte dei cittadini, soprattutto i più anziani, quel progetto fosse troppo radicale. Per quanto riguarda la questione dei bitumi, invece, bisogna considerare che ci sono dei diktat tecnici che ci hanno portato a delle decisioni. Nel momento in cui i cittadini, i Comitati, le Consulte, i Comuni limitrofi e il Parco hanno espresso preoccupazione allora abbiamo deciso di ragionare in un’ottica sovracomunale e mettere il vincolo a impianti di questo genere in tutto il territorio, anche se la soluzione tecnica è ancora al vaglio dei nostri urbanisti».

Cosa risponde a chi in questi anni l’ha accusata, anche sulle pagine del nostro Giornale, di essere furba e strumentalizzare alcune situazioni?

«Che non ho mai avuto bisogno di strumentalizzare nulla né di ingraziarmi nessuno. Sto in Comune e lavoro, investo energie e tempo in quello che faccio, anche se certamente in qualcosa avrò sbagliato anch’io. Sicuramente per me fare il sindaco non significa stare al bar a chiacchierare con i cittadini, anche perché non fa parte del mio modo di essere. Ho sempre lavorato con rispetto e trasparenza».

Cosa si augura per il futuro di Cernusco?

«Credo che il nostro paese abbia due importanti punti di forza. Da un lato la presenza di imprese importanti che fanno la differenza, che portano lavoro sul territorio e mantengono stabile il tessuto sociale. Dall’altro abbiamo un volontariato attivo e presente, che si tratti di decoro urbano o di interventi sociali. Sono entrambi elementi importanti, che mi auguro non vengano mai a mancare e continuino ad arricchire tanto i cittadini quanto gli amministratori».

Se potesse scegliere, chi vorrebbe seduto al suo posto?

«Vedrei bene sul trono (scherza, ndr) l’assessore al Bilancio Maria Rachele Villa, però diciamo che non glielo auguro. E’ una persona estremamente competente, oculata e brillante, ma purtroppo è pignola e precisa come me. Dopo una vita di lavoro e responsabilità, ha già dedicato cinque anni al Comune, non credo sia corretto chiederle uno sforzo ulteriore. Esclusa lei, credo che a Cernusco servirebbe una persona più giovane, magari tra i 40 e i 50 anni, con un’ottima preparazione in ambito economico e finanziario, perché in un Comune quella è la base per tutto».

Lei conferma quindi la fine del suo impegno amministrativo?

«Assolutamente, non intendo andare avanti. Chiunque sarà il sindaco, però, sarò a sua disposizione e cercherò di agevolare il suo lavoro».

Come occuperà tutto questo tempo libero ritrovato?

«L’intenzione mia e di mio marito è quella di lasciare l’attività ai nostri figli, quindi ci sarà un passaggio di consegne e fino alla pensione ho intenzione di darmi da fare per rimettere in piedi tutta l’attività live e lanciare una nuova modalità di intrattenimento web. Poi mi dedicherò ai miei genitori, che sono molto anziani, e che fino ad ora sono riuscita ad assistere soltanto nel weekend. Ho però anche l’obiettivo di diplomarmi in pianoforte al Conservatorio, visto che mi manca un solo esame, e di impegnarmi con qualche associazione che opera nell’ambito del sociale. Mi piacerebbe anche scrivere un libro, ma diciamo che già solo potermi finalmente concedere una serata al cinema con mio marito sarebbe una gran cosa».

Adesso che sta per smettere la fascia, si tolga qualche sassolino dalla scarpa.

«Prima dell’emergenza Covid avevo tanti risentimenti, ma dopo aver visto tutto il dolore di questi mesi sono passati in secondo piano. Questa situazione ha ridefinito anche il rapporto con le minoranze e ad oggi c’è molto più rispetto per l’impegno reciproco. Se proprio devo fare una critica, posso sottolineare un po’ di superficialità di alcune proposte: è facile dire “Prendete 250mila euro e dateli alle famiglie in difficoltà”, un po’ meno farlo».

Un ultimo messaggio per i suoi cittadini?

«Vorrei che sapessero che li ringrazio, perché dandomi fiducia mi hanno permesso di arricchirmi sia dal punto di vista delle competenze sia umanamente. Mi sembrava impossibile riuscire a espormi e a parlare in pubblico, invece questa relazione allargata con il paese è stata una delle più gratificanti della mia vita».

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