La storia

Guarisce dal Covid dopo 40 giorni di ospedale IL RACCONTO

E' stato il primo paziente accertato di Coronavirus all'ospedale di Erba.

Guarisce dal Covid dopo 40 giorni di ospedale IL RACCONTO
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Un 65enne di Bulciago è guarito dal Covid dopo una lunga e difficile lotta all'ospedale di Erba, di cui è stato il primo paziente accertato.

La storia del 65enne di Bulciago guarito dal Covid

Più di 40 giorni in ospedale, a combattere tra la vita e la morte con un solo pensiero a fargli forza, quello di riabbracciare la figlia e il nipote.
I suoi giorni di lotta contro il Coronavirus Domenico Lanfranchi, 65enne di Bulciago, li racconta con la lucidità e il sollievo di chi sa che il peggio è passato e piano piano sta iniziando a rimettersi in forze. «Ho iniziato a stare male il 28 febbraio. Sono andato a letto la sera e stavo benissimo, la mattina mi sono svegliato con 39.5 di febbre. Dal momento che la febbre non scendeva, anzi era arrivata a 39.9, e avevo anche la tosse e facevo fatica a respirare ho capito che qualcosa non andava, così non ho voluto incontrare nessuno per precauzione. Nel frattempo ho contattato il 112, la guardia medica e il numero di emergenza per il Coronavirus: o minimizzavano dicendo che si trattava di una semplice influenza o mi rimbalzavano da un riferimento all’altro. Ero preoccupato e arrabbiato, mercoledì 4 marzo però sono stato malissimo e così mi hanno portato in ambulanza all’ospedale di Erba», racconta Lanfranchi ripercorrendo con grande lucidità quei giorni.

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Il ricovero all'ospedale di Erba

Arrivato al Fatebenefratelli in condizioni preoccupanti, il bulciaghese è stato sottoposto ad un primo tampone e, in seguito ad una crisi respiratoria, è stato trasferito nel reparto di Terapia subintensiva, che il personale stava allestendo proprio in quel momento. «Sono stato il primo paziente accertato di Coronavirus a Erba, mi hanno assegnato il numero 1. Qui tutti mi chiamano “il veterano” perché sono stato il primo nel reparto» prosegue Lanfranchi ritrovando il sorriso e la positività che lo caratterizzano. Al ricovero sono seguite tre settimane con indosso il casco Cpap notte e giorno, per consentirgli di respirare: «Ero sempre vigile e lucido, ricordo ogni momento. I giorni non finivano mai e in una situazione del genere risulta difficile anche dormire. In quelle settimane ho avuto un’altra crisi respiratoria e ho temuto di non farcela». E invece, dopo quei giorni difficili, in cui la paura sembrava avere la meglio sulla speranza, Domenico Lanfranchi è tornato piano piano a respirare da solo ed è stato trasferito nel reparto di Riabilitazione, rivoluzionato e messo quasi completamente a disposizione dei positivi al Covid-19. «Ho iniziato a fare ginnastica, perché la malattia mi aveva reso debole e stare a lungo allettato non aiuta. I primi giorni sono stati difficili, facevo fatica a stare in piedi e dovevo recuperare l’equilibrio, ma adesso va meglio» ha aggiunto il bulciaghese, che a parte un’operazione alla tiroide tre anni fa non ha mai avuto problemi di salute ed è molto attivo.

Le dimissioni e il ritorno in famiglia

«Ho visto cose che non auguro di vedere a nessuno. Ho visto morire persone di 40 o 50 anni, pazienti che invocavano la morte tanto erano stremati da questa malattia; la notte nessuno chiudeva occhio - confessa Lanfranchi, con la voce che si incrina - Io non so perché ce l’ho fatta, so solo che ho cercato di farmi forza. Forse mi ha aiutato il fatto di essere una persona positiva di carattere o forse è stato il pensiero di poter riabbracciare mia figlia Katia e mio nipote Alessandro, che sono tutta la mia vita». Ed è proprio da loro che il pensionato bulciaghese è riuscito a ritornare lunedì 20 aprile e spera di fare lo stesso presto anche delle sue passioni: «Amo giocare a biliardo, ballare il liscio e il latinoamericano. Chissà se potrò tornare a ballare, speriamo... Intanto almeno sono tornato a casa» prosegue Lanfranchi, che nei giorni scorsi ha effettuato due tamponi, risultati entrambi negativi, che gli sono valsi le dimissioni.

Il ringraziamento al personale sanitario

«L’unica cosa che un po’ mi mancherà quando uscirò sarà l’affetto di tutto il personale sanitario, medici, infermieri, oss, fisioterapisti - aveva rivelato - Non solo sono stati sempre professionali e attenti, ma hanno sempre fatto il loro lavoro con il sorriso. L’unico contatto che avevo con l’esterno erano le videochiamate con mia figlia e mio nipote e loro hanno fatto di tutto per mostrarmi affetto e tenermi su di morale. Li ringrazio con tutto il cuore», chiedendoci la promessa di pubblicare la sua foto insieme alle infermiere che non lo hanno mai lasciato solo e lo hanno spesso rincuorato. Noi la promessa l’abbiamo mantenuta volentieri, adesso tocca a lui mettercela tutta, per tornare alla sua vita di sempre con sua figlia e suo nipote, a giocare con gli amici a biliardo e chissà, forse un giorno, anche a ballare.

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