Porta in salvo nonna e nipotine guidando fino al confine ucraino
L'impresa di Luca Fumagalli, 47 anni, agente di commercio di Imbersago.
«Si può avere il contatto di associazioni che accolgono i rifugiati?».
Luca Fumagalli, 47 anni, è un agente di commercio di Imbersago. Il suo messaggio, inviato mercoledì al numero di Whatsapp della nostra redazione, ha il tono di chi sta organizzando un weekend come tanti. Qualcosa di ordinario, di normale, ma che evidentemente normale non è.
Porta in salvo nonna e nipotine guidando fino al confine ucraino
«Venerdì parto e vado in Polonia e porto a casa chiunque voglia venire con me. Siamo due macchine, io e un amico di Treviso matto quanto me». Lo contattiamo e ci racconta le sue intenzioni. Troppo forte l’angoscia per quello che sta succedendo in Ucraina per starsene fermo a guardare. Vuole partire, perché semplicemente lo ritiene giusto, anche se la strada è lunghissima.
Ha raccontato del viaggio a poche persone: mamma, papà, qualche amico e amica che lo hanno aiutato a raccogliere viveri e al nostro Giornale per cercare un contatto. Il «gancio» naturale è Cassago Chiama Chernobyl: il presidente Armando Crippa si mobilita per cercare famiglie ucraine legate all’associazione che vogliano trasferirsi in Italia per fuggire dal conflitto. C’è una donna che sembra intenzionata a farlo, ma infine decide di non abbandonare il marito costretto a restare in Ucraina a combattere.
«Il viaggio a vuoto non lo faccio: porto i viveri al confine e poi qualcuno che voglia tornare con me lo trovo» ci assicura Luca alla vigilia, con grande determinazione. Si mette al volante, destinazione Preganziol, provincia di Treviso: è lì che deve incontrarsi con l’amico Alberto, anche lui in missione per la stessa buona causa in collaborazione con la Caritas di quella zona. In autostrada riceve una telefonata: a Dolhobyczów, 150 chilometri a nord rispetto al principale punto di approdo dei profughi di Przemysl, ci sono una nonna e due nipotine che vogliono ricongiungersi con una familiare che vive a Mariano Comense. «Ho scoperto che in questa emergenza funziona così: quando ti rendi disponibile a dare un passaggio ai profughi, il tuo numero se lo passano di persona in persona fino a quando qualcuno che ha bisogno ti contatta» ci spiega il 47enne.
Un viaggio per donare speranza a chi fugge dalla guerra
Prima tappa: Cracovia. 1.400 chilometri «filati» prima della sosta per la notte. Doccia, quattro passi in centro, una pizza, una bibita e a dormire. Poco, pochissimo. Solo 5 ore. «Perché l’adrenalina e i pensieri mi hanno tenuto sveglio» ci racconta all’alba, ormai a poche ore dalla sua destinazione. Giunto a Dolhobyczów, Luca impiega non poco a trovare il punto di accoglienza dei profughi. «Un ragazzo del posto che parlava un po’ d’italiano mi ha chiesto se avessi bisogno d’aiuto, così l’ho fatto salire e mi ha accompagnato fino al luogo in cui ho potuto lasciare gli scatoloni e caricare a bordo la signora con le due bimbe». Qualche sorriso, sguardi carichi d’emozione e di gratitudine, poco altro: parlano solo ucraino e non si può fare conversazione. Scopre che la signora si chiama Lubov, le bambine Anastasia e Sofia. La prima ha solo due anni, la seconda quattro. Luca non sa nemmeno da che zona dell’Ucraina arrivino, lo scoprirà solo una volta giunto in Italia: Borodyanka, nella periferia di Kiev, uno dei luoghi più colpiti in assoluto dai bombardamenti russi. «La città che non esiste più»: così la definisce qualche media nazionale. Se la si cerca su Google appaiono solo foto di devastazione.
Si riparte. Una sosta per il pranzo e poi via diretti a Vienna, dove la cena del sabato sera si tiene da Mc Donald’s. Una pacchia, specialmente per le bimbe. Il viaggio di domenica verso l’Italia prosegue senza intoppi. «Soprattutto senza essere fermati dalla Polizia: il mio amico di Treviso lo hanno controllato in Polonia ed è dovuto andare in commissariato a presentare i documenti e a spiegare perché avesse in auto delle persone. Nulla di illegale, però senza dubbio una gran perdita di tempo» spiega il 47enne.
Una storia a lieto fine
All’ora di cena si arriva finalmente a Mariano, dove ad accogliere nonna e bimbe ci sono Ivano, la moglie Tania e la loro figlia Giorgia: da domenica la loro famiglia è più grande, sicuramente più felice. Ci sono anche Giuseppe e Mirella, genitori di Luca, con delle uova come segno di benvenuto. Non si torna a Imbersago senza una foto ricordo: Sofia, in prima fila, mostra fiera le sue unghie appena dipinte con lo smalto colorato che lo «zio» Luca le ha comprato in autogrill.
E’ il lieto fine di una storia di generosità autentica e spontanea, con un po’ di quella sana incoscienza che ti porta a guidare 40 ore per 3.700 km in un weekend per dare speranza a una nonna e alle sue nipotine in fuga dalla guerra. «Questa esperienza mi ha ripagato in un modo immenso - ci rivela Luca domenica sera, stanco e pronto a una nuova settimana di lavoro - Penso semplicemente che certe cose vadano fatte e basta».
Matteo Scerri