Il turismo lecchese cerca la sua dimensione nel rapporto con il territorio
Il rapporto ciò che esiste fuori dall’hotel serve sia all’attività che alla comunità
Il turismo lecchese cerca la sua dimensione nel rapporto con il territorio. I fondamentali, le parole chiave, il rapporto tra hotel e territorio. E ancora, l’offerta turistica extra alberghiera e, parola odiata, l’overtourism. Ma anche la necessità di una governance che sappia mettere insieme le buone pratiche con le opportunità, il rapporto con le istituzioni locali e, soprattutto, il territorio. Anche dimenticando la paura di essere «eretici» per creare una visione che possa essere condivisa.
Il turismo lecchese cerca la sua dimensione nel rapporto con il territorio
E’ questo, in estrema sintesi, quanto emerso dal convegno di martedì all’hotel «Promessi sposi» voluto da Fabio Dadati (alla guida del gruppo che comprende anche «La casa sull’albero» nonché consigliere della Camera di Commercio con delega a Turismo e Cultura).
Il «pretesto» era la presentazione dei due video - uno per ciascuno degli hotel - che non sono solo promozione di due attività, quanto piuttosto del territorio che le circonda, come ha spiegato l’autore, Luca Naj-Oleari (ceo di Alma agency). Con il convegno che, non certo a caso, ha messo al centro proprio il rapporto tra un hotel e il territorio che lo circonda. Un rapporto fatto di ciò che c’è e di ciò che ci sarà. O meglio, di ciò che ci dovrà essere se tutti gli attori saliranno sul palcoscenico da protagonisti cercando una visione che, appunto, può essere anche «eretica» come l’ha definita Giacomo Moioli, disegnatore d’idee, chiamato a stimolare piuttosto che modera gli interventi. A cominciare dalle riflessioni della professoressa Magda Antonioli, docente alla Bocconi nonché presidente dell’Osservatorio sul turismo del Ministero e vice presidente di European Travel Commission.
Come cambiare? Ecco da dove partire
A gettare qualche sassolino nel lago - perché lo stagno sarebbe fuori contesto oltreché riduttivo - è stato proprio Dadati in apertura dei lavori. Sassolini che hanno provocato quelle onde di un cambiamento di paradigma che è auspicabile più che possibile.
E’ partito da un assunto incontestabile: «Oggi la ricettività extra alberghiera ha numeri quattro volte maggiori di quella degli hotel. Ma sono stati proprio i grandi hotel, come Villa d’Este e Tremezzo, a promuovere il lago. Perché sono gli hotel a investire sulla promozione di un territorio (e i video mostrati in apertura ne sono un esempio, ndr) offrendo anche servizi che, talvolta, sono usufruiti anche da chi soggiorna in case vacanza».
Eh sì, perché l’imprenditore alberghiero è «costretto» a dialogare con il territorio guardando al futuro e tenendo presente che «un hotel cambia l’equilibrio di un’intera zona; diventa il fulcro della socialità». Con una sostanziale differenza tra le catene internazionali e gli albergatori «che vivono sul territorio e nel territorio attraverso rapporti con amministrazioni comunali, scuole, associazioni; e che quel rapporto con le comunità lo sentono e lo vivono».
Una relazione che è positiva anche per l’attività, che «ha successo se intorno c’è una comunità». Parole che si declinano anche nel concreto come ha sottolineato Dadi facendo riferimento alla grandi catene internazionali che puntato ad aprire dei grandi alberghi a Lecco: «Un hotel prestigioso dà notorietà a un territorio, ma non può risolvere i problemi ad esempio di ordine pubblico nelle zone in cui sorge. Noi albergatori possiamo dare un contributo, ma le condizioni sono a monte».
Magari sfruttando anche quel turismo congressuale che, oggi, Lecco fatica a intercettare. E che servirebbe anche a destagionalizzare il flusso turistico approfittando del tessuto manifatturiero della nostra provincia.
I "fondamentali" di un territorio che ha tanto da dare
Un territorio che ha tanto. E questo è uno dei «fondamentali» illustrati dalla professoressa Antonioli per raccontare il successo italiano, lariano e lecchese: «Fuori c’è un territorio che tutti ci invidiano. E oggi il turista sceglie un territorio per le cose da fare, l’ambiente, il wellness inteso come “stare be”. E il “vivere bene” la vacanza in un territorio significa anche offrire servizi che poi si riflettono anche sull’aumento dei prezzi».
Perché la sostenibilità ambientale deve essere anche economica - visto che gli hotel sono delle imprese - e in rapporto attivo con il territorio. Anche scegliendo insieme - con una governance condivisa - quali turismi scegliere aiutando anche le istituzioni «ad avere consapevolezza di che cosa è il turismo, gestendo l’overtoursim e puntando all’ammodernamento delle strutture dove in Italia siamo un po’ indietro, soprattutto al sud», ha spiegato.
Senza dimenticare che la base di partenza - e lo ha sottolineato pure Mojoli - è l’analisi dei dati. Quelli che, ha sottolineato la professoressa Antonioli, sono positivi e possono essere migliorati. Come? «Migliorando l’offerta sulla stagionalità, puntando sulla tipicità perché se la perdiamo perdiamo il fulcro del prodotto e attraverso un marketing territoriale che parta dalla consapevolezza del potenziale». Perché «qui c’è già un prodotto da vendere, ma bisogna essere consci di essere specifici. Ci sono dei “marcatori” territoriali che devono essere tirati fuori per ottenere un successo».
La visione e le quattro B
Anche andando al di là dei «fondamentali» per provare a costruire una visione dentro la cornice che questi offrono. Anche ascoltando voci «eretiche» e valorizzando la formazione e le competenze. tanto che, insieme ad amministratori e addetti ai lavori, presenti al convegno c’erano anche i vertici delle scuole professionali Aldo Moro e Cfp di Casargo. E non certo a caso.
Un pensiero, questo, che Mojoli ha declinato attraverso le quattro B.
«Dobbiamo rispondere a due domande - ha detto - Dove vogliamo andare? A chi vogliamo rivolgerci?». Quale è il limite che va governato attraverso un progetto che coinvolga tutti gli attori e che guardi al futuro dei prossimi 5,10 o 15 anni? Ci sono quattro parole chiave, le quattro B. B come “bellezza”, perché dentro ci sono la durevolezza e la sostenibilità. E ancora B come “biodiversità”, intesa anche come biodiversità umana nel costruire un progetto. E poi B come “ben fatto” che vale per tutto: basta con fiere che non rispondono a requisiti di qualità ma creami qualcosa che sia “sartoriale” senza dimenticare che il top può essere pop. Infine B come “buon e ben vivere” attraverso, appunto, all’interazione con il territorio».
Con un’altra parola chiave che è «gratitudine» perché, come ha specificato Mojoli, «si raggiunge l’obiettivo quando il cliente esce da un hotel o da un ristorante dicendo “grazie” perché ha potuto godere di servizi adeguati alle sue aspettative. Che, in sintesi, significa rendere ordinario quello che è straordinario».