Speranza per l'Ucraina, il viaggio al confine in mezzo a chi scappa dalla guerra VIDEO
"Tutti a chiedersi quando questa cosa finirà, al momento nessuno sa la risposta ed è una condizione davvero dolorosa e pesante da sopportare"
Speranza per l'Ucraina, un viaggio al confine in mezzo alla gente che scappa dalla guerra. Il progetto di aiuto e solidarietà al popolo ucraino promosso e sviluppato dall’istituto delle Suore della Provvidenza assieme alla Casa Famiglia Luigi Scrosoppi di Udine è sostenuto dall'Asd Sirtorese e dal Comune di Sirtori.
Alcune delle foto del viaggio
Speranza per l'Ucraina, il video del viaggio
“L’obiettivo del viaggio – ha spiegato Paolo Preziosa, referente dell'iniziativa e segretario generale dell'Asd Sirtorese – era di capire come veniva distribuita la merce fin qui raccolta, quindi la logistica dell’intervento, e poi capire operativamente se qualora la situazione non si sbloccasse come ci si potrebbe muovere nell’accogliere in Italia i profughi ucraini”.
Una macchina organizzativa davvero importante e che coinvolge tanti enti. “Gli aiuti che sono stati raccolti da Sirtori e da tutta Italia confluiscono nell’hub centrale di Udine, dove ha sede la Casa Famiglia, e da qui partono verso i terrori che sono al confine con l’Ucraina grazie ad alcuni tir che sono stati concessi gratuitamente dall’azienda di trasporti Ceccarelli Group. Il progetto Speranza per l’Ucraina vede la collaborazione di diversi partner: oltre al Comune di Sirtori, ha dato il proprio contributo la Confindustria Udine, Alibrianza, Calcioshop, l’Oratorio arcobaleno di Tavagnacco-Branco, il Soccorso dell'Ordine di San Giovanni Italia e il gruppo scout Feletto”.
Le principali mete del viaggio, durato cinque giorni, sono state due delle sedi della congregazione delle suore, in particolare i centri di accoglienza profughi di Iasi in Romania, a 100 km dal confine con l’Ucraina, e di Chisinau, la capitale della Moldavia che si trova a circa 80 km da Odessa, la città portuale bombardata nel sud dell’Ucraina. Ma non sono state le uniche tappe del viaggio di Paolo accompagnato da Emmanuel Olivier Faedis, il vicepresidente della Casa Famiglia di Udine.
“La prima tappa è stata a Iasi dove abbiamo incontrato Don Giuseppe Jacob, che è il direttore della Caritas della città, e insieme alle suore è stato il destinatario del primo carico di aiuti. Il bilico vuoto che viene riempito a Udine viene poi svuotato a Iasi e caricato in piccoli furgoncini che partono al confine con la frontiera, dove ci sono gruppi e associazioni informali ucraini che prendono in consegna e riportano verso l’Ucraina. Questo perché è molto complicato girare in Ucraina, c’è un meccanismo di interscambio che avviene in dogana. Abbiamo portato loro un carico di 10mila euro di medicinali comprati in Romania e che servivano per gli ospedali di Kiev e delle altre città nella zona centro-occidentale – ha raccontato – Il secondo giorno ci siamo spostati proprio a Siret, che è il confine a nord tra Romania e Ucraina, dove si trova la dogana di frontiera ucraina: gente che arriva a piedi dall’Ucraina, chi con i bus o chi si è organizzato attraverso macchine private”.
Più di un centinaio le persone che vengono ospitate quotidianamente nei centri accoglienza. “C’è chi non ha avuto problemi a trovare riparo con gli amici che si trovavano già in Romania o in Moldavia, chi invece si trova nei centri ha avuto indubbiamente più difficoltà – ha aggiunto – Il terzo giorno ci siamo invece recati a Chisinau, a 60 km dalla provincia ucraina di Odessa dove peraltro avevano iniziato a bombardare. Abbiamo visitato il centro dei profughi gestito dalle suore, quello della Caritas e anche il centro dell’Opera San Giovanni Bosco dei Salesiani. Quest’ultimo era più rivolto ai ragazzi, hanno praticamente adibito l’oratorio a dormitorio e ho visto tanti ragazzi e minori non accompagnati anche se non è del tutto chiaro se la loro condizione di abbandono è temporanea oppure permanente perché molti cittadini ucraini hanno la doppia cittadinanza con la Moldavia e spesso si spostano. Ho visto tante donne con bambini piccoli, donne di mezza età con figli adolescenti e anziani ospitati in una logica di primo intervento senza in realtà offrire loro un’attività continua e regolare durante il giorno”.
Come passano le giornate queste persone? “Una cosa che forse pochi sanno è che in Ucraina le scuole non sono chiuse ma c’è la Dad, quindi vedi un sacco di adolescenti con tablet o cellulari seguire le lezioni, per fortuna la connessione Internet funziona. Prima di partire la domanda che mi ponevo era il perché dell’invasione russa ma stando lì mi sono accorto in modo molto pragmatico che la domanda di senso è un’altra: “Quando finisce tutto questo? Quando tornerò alla mia vita normale?”. Questa condizione è molto forte nei più giovani, che soffrono questa routine vuota. Gli anziani e i più adulti invece si stanno organizzando per fare da spola con chi è ancora in Ucraina inviando materiale e sostegno. C’è una sorta di autorganizzazione della distribuzione degli aiuti”.
Vite spezzate e una normalità che grida nel silenzio dell’orrore. L’immagine più nitida nella mente è quella di una bambina. “Ero in uno di questi centri e ho incrociato lo sguardo di una ragazzina. Aveva gli occhi trasparenti che guardavano il telefonino, quando ha sollevato il suo sguardo incrociando il mio ho rivisto gli stessi occhi di mio figlio durante il primo lockdown, un po’ spento e atavico. Tutti a chiedersi quando questa cosa finirà, al momento nessuno sa la risposta ed è una condizione davvero dolorosa e pesante da sopportare”.
Nelle prossime settimane un nuovo viaggio, stesso itinerario ma con l’obiettivo di coinvolgere altre reti. “L’orientamento non è più dare solidarietà con i generi alimentari perché ce n’è in abbondanza ma dare a queste persone un sostegno finanziario e aggiungere anche personale di sostegno: se la situazione continuerà ancora per tanto tempo serviranno educatori e figure di supporto psicologico”.