I dati

16.400 i nuovi poveri nel Lecchese a causa del lavoro sottopagato

Gli operai poveri saranno futuri pensionati indigenti.

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A Lecco e provincia ci sono 16.400 lavoratori poveri che percepiscono un salario di meno di 9 euro all’ora, lavoratori sulla soglia della povertà che dopo essere stati impiegati per una vita si troveranno ad avere pensioni che oscillano fra i 350 e i 1100 euro al mese.

Allarme sociale

E’ un allarme sociale quello quello che hanno lanciato questa mattina  mercoledì, 20 settembre 2023, nella sede di via Besonda, il segretario territoriale della Cgil Lecco Francesca Seghezzi e il direttore Inca Cgil Luca Picariello.

I dati sono allarmanti: il settore più penalizzato è quello delle colf e badanti dove su 2.870 addetti ben 1.710 (pari al 59,6% del totale) sono sulla soglia della povertà. Ma i numeri più elevati le registra il settore dell’industria che sul quel ramo del lago ha 52mila addetti dei quali ben 6.240 sono sottopagati (pari al 12%). E poi c’è il turismo e la ristorazione: delle 9.160 maestranze 2.120 vivono con stipendi risicati, pari al 23,2%. Non nuota nell’oro nemmeno chi lavora nel campo dell’Istruzione: su 6.190 ben 1.420 hanno uno stipendio da fame pari al 22,9%. Non va molto meglio nella sanità e assistenza sociale: su 5.500 lavoratori 950 percepiscono meno di 9 euro all’ora (17%). Dei 7.000 operai e muratori che operano nelle costruzioni 1.260 sono sulla soglia della povertà (18%); nel trasporti a fronte di 4.000 addetti, 620 (15,6%) fanno fatica ad arrivare a fine mese mentre nel commercio ci sono 18.000 assunti, di questi 2.100 (11,6%) sono sottopagati.

Il segretario territoriale della Cgil Lecco Francesca Seghezzi e il direttore Inca Cgil Luca Picariello.

 

Lavoratori poveri nei settori in crescita

"Stiamo parlando di settori in crescita - ha detto Francesca Seghezzi - anche se è verosimile che il manifatturiero dell’automazione e dell’intelligenza artificiale sia destinato a perdere lavoratori. Queste maestranze saranno riassorbite negli altri rami e finiranno fra i poveri".
A queste maestranze che non ce la fanno a tirare a fine mese, si aggiungono quelle che potenzialmente avrebbero un lavoro più redditizio ma ottengono solo contratti part time (il così detto part time involontario) e che quindi finiscono per percepire stipendi comunque inadeguati. "Stiamo parlando del 9% del numero totale di lavoratori lecchesi - aggiunge Seghezzi - Sul totale degli avviamenti tra l’altro il 39,4% sono part time di donne contro il 21,7% degli uomini. Esiste anche un tipo di fragilità che è quello delle famiglie monoreddito, monoparentali e su quelle numerose. Queste masse di lavoratori poveri stanno crescendo e bisogna arginare al più presto il problema".

Più pensionati poveri

Dopo la fotografia del problema che oggi mette in seria difficoltà una fetta importante dei lecchesi ce n’è un secondo che si presenterà in futuro quando questi lavoratori si troveranno a percepire pensioni irrisorie a fronte degli scarsi contributi versati. "Fino a 20 anni fa la pensione era formata dalla media delle retribuzioni degli ultimi 5 anni lavorativi - ha spiegato Picariello - Io ho iniziato a lavorare nel 2007 e questa media non era più di 5 ma riguardava gli ultimi dieci anni. A poco a poco si passerà al contributivo totale (adesso stiamo andando in pensione con il misto). Chi inizia a lavorare oggi e ha un reddito annuo di 15mila euro ha una pensione di 15 euro per quell’anno. Se l’anno successivo guadagnerò 20mila euro la pensione corrisponderà a 20 euro più 15 dell’anno prima 35. Un montante che si accumula per tutta la vita lavorativa con il risultato di avere un vitalizio da fame. Ho per esempio il caso di una donna che, dopo aver operato anni all'estero, nel 2006 ha trovato un lavoro nel nostro Paese, svolto fino al 2021 con retribuzioni costanti e tutto sommato discrete: ma la sua pensione, ora, è di 394,84 euro al mese. Non va meglio a un signore che, dopo un ventennio da operaio, ora porta a casa 574,78 euro al mese".

Lavoratori che non riescono a versare tutti i contributi

Ha aggiunto Seghezzi: "Ci sono lavoratori che pur operando tutto l’anno non riescono a contribuire per 52 settimane, come dovrebbero ma per 40 o anche meno in base ai loro contratti. Stiamo minando il loro futuro ma anche quello di tutto il territorio che dovrà farsi carico di queste persone. E’ necessario che tutti i soggetti economici di Lecco, città famosa per la capacità di fare rete, si assumano la responsabilità di analizzare e di farsi carico di questa situazione. A nessuno degli agenti economici del territorio conviene arrivare a certi livelli di impoverimento. Se non si invertirà la rotta, questo si trasformerà in un problema sociale. Credo che abbiamo il dovere come sindacato di suonare il campanello d’allarme: la tendenza attuale sta generando quella che un domani sarà una forte spesa sociale che il territorio non sarà in grado di sostenere".

 

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