Riflessioni sulla scuola: l'anno scorso eravamo in viaggio nel Caucaso, oggi sentiamo il vuoto
Di Alfio Sironi (Casatenovo).
Riceviamo e pubblichiamo l'intervento di Alfio Sironi, ex capogruppo di maggioranza a Casatenovo, di professione insegnante all'istituto Vanoni di Vimercate.
Vedo in questi giorni le foto dell'anno scorso e della nostra straordinaria esperienza nel Caucaso con il laboratorio Viaggi Diversi - IIS "E. Vanoni", Vimercate - MB. Ne ho chiacchierato con alcuni alunni in questi giorni e la risposta è unanime: ci ricordiamo quei giorni minuto per minuto, come qualcosa di vivo. Immagini che, viste oggi, fanno sentire più forte il vuoto finale di quest'anno scolastico.
L'esperienza di questi mesi è stata sicuramente un esperimento interessante (viene in mente l'usanza, attribuita ai cinesi, di augurare al proprio nemico di vivere in tempi interessanti...) che a conclusione lascia, almeno a me, un grande senso di sterilità alle spalle e un grosso onere a carico delle famiglie degli alunni più piccoli, che hanno dovuto faticosamente dividersi tra smart working e scuola fatta in casa. Immaginare che il prossimo anno somigli vagamente a quello che va concludendosi significa immaginare un altro anno in cui si sopravvive.
Alcune cose per fare meglio, credo di poter dire, le abbiamo imparate:
1) la tecnologia è uno strumento importante per migliorare la didattica e in questa occasione anche per renderla possibile, ma non è panacea dei mali scolastici e non può essere Il Canale.
2) abbiamo riscoperto la vicinanza come bene prezioso (mai sentiti così tanti studenti contemporaneamente rimpiangere le aule scolastiche!)
3) la pandemia può essere occasione per rimettere a posto l'ordine delle priorità. Il sistema mondo così come lo abbiamo allestito non funziona: basti nominare la crisi ecologica, se non vogliamo guardarne altre urgenti, ma forse meno semplici da circoscrivere.
La scuola è lo spazio che abbiamo per formare cittadini in grado di pensare e vivere bene, ma è uno spazio che oggi spesso sembra impegnato per dare forma a una caricatura dell'impiegato flessibile globalizzato. Dell'impiegato flessibile globalizzato - a parte il fatto che si adatterà sempre senza fiatare - non ce ne facciamo molto durante un'emergenza che pone in discussione le basi della società nel suo complesso. Vi potrà sembrare un discorso eccessivamente teorico, ma se non voliamo alti quando parliamo di scuola e formazione, quale sarebbe la sede opportuna per farlo?
Inquieta un po' ascoltare le confuse voci di corridoio che arrivano da Roma sulla “scuola di settembre” (siamo ancora alle voci di corridoio, peraltro). Pare si ragioni di contenuti digitali da replicare in serie, classi metà qui e metà là, disinfettante e plexiglass. Avremo bisogno anche di questo, certamente, ma non perdiamo di vista il cuore della vicenda. Scuola e realtà si devono guardare in faccia: servono strumenti di cittadinanza reali, non retorici. Che un giovane sia messo nelle condizioni di comprendere, scegliere, criticare, costruirsi un codice etico, immaginare altre vie. Utilizziamo l'occasione straordinaria per segnare una discontinuità con gli ultimi anni.
Ci sono cose che potrebbero aiutare a uscire dai ragionamenti di plexiglass, scrivo alcuni appunti sparsi, tra i conti della serva e lo slancio utopico, mi perdonerete. Sono incipit di ragionamenti che andrebbero poi proseguiti insieme scuola per scuola, comune per comune, con quel che si ha a disposizione, in un grande laboratorio che liberi e ravvivi la scuola ai tempi della pandemia globale:
A- anzitutto, per iniziare eleganti: ci vogliono soldi. Le risorse destinate alla scuola, stando all'ultimo decreto, sono davvero modeste: 331 milioni di euro complessivi che andranno divisi per sessantamila scuole (meno di 6.000 euro per ogni scuola). Queste dovrebbero servire per dotare le scuole delle nuove misure necessarie. Voglio sommessamente ricordare che la scuola è in crisi da ben prima del virus: finestre rotte, attrezzature informatiche vetuste (quando ci sono), muri che piangono miseria... potremmo fermarci qui.
B- abbiamo sempre chiesto la riduzione del numero di alunni – prima riforma necessaria - perché con gruppi piccoli la qualità di quel che si fa s'innalza. E' il momento!
C- al posto di reclutare vigilantes, perché non pensiamo di creare reti sul territorio con persone, enti, associazioni, che possono aiutarci a fare scuola in modi diversi? Proviamo a uscire dal perimetro: è una situazione emergenziale, un'occasione per sperimentare. Parliamo dell'impegno politico con i consiglieri comunali del paese, incontriamo i giornalisti del quotidiano locale e facciamoci spiegare quanto è importante e delicata l'informazione, incontriamo sportivi, magistrati, mobilieri, rapper; un agricoltore che ci dica che è ora di fare attenzione a cosa mangiamo. Usiamo gli spazi esterni del paese o della città. I boschi, i musei, i cineteatri, gli oratori. Facciamo dibattiti in piazza e lezione seduti davanti a un bel paesaggio. Se anche molti di questi esperimenti dovessero rivelarsi fallimentari, non lo saranno più di questi mesi di didattica a distanza e ci avranno comunque aiutato a cartografare, a capire da che parte non bisogna o non si può andare.
D- per poter fare questo esperimento - ma non solo per questo - studenti e insegnanti meritano più autonomia. Sono questi i due poli al dialogo e durante la quarantena collettiva hanno dimostrato di sapersi organizzare, arrivando prima delle direttive ministeriali.
Nelle relazioni, anche in quelle educative, la fiducia è tutto.
Oggi scuole e insegnanti sembrano sorvegliati speciali, devono attenersi a sempre nuove procedure rigidamente codificate e monitorate secondo le retoriche della trasparenza, formarsi solo seguendo le raccolte punti ministeriali. Il digitale aumenta ancor più questo tipo di spinte regressive. La trasparenza nasconde spesso un insano desiderio di misurazione e controllo, che deriva dalla totale assenza di fiducia tra le persone. Senza fiducia non si costruisce una comunità educante. Siamo all'abc: dico cose risapute, ma sempre più lontane dalla realtà concreta.
Collegato agli istinti misuratori: smettiamola di buttare soldi per l'Invalsi. E' raccapricciante dal punto di vista etico spendere 22 milioni di euro in una fase d'emergenza per fare test a crocette.
Agli studenti chiediamo di più, diamo loro più responsabilità, svegliamoli dal torpore in cui li abbiamo confinati (ben prima della quarantena collettiva). Non possiamo chiedere loro di non essere irresponsabili oggi, quando quel che facciamo molto frequentemente è dirgli di stare seduti in silenzio ad ascoltare e replicare pedissequamente i gesti dell'insegnante.
Vi sento... se non siamo pronti alla didattica digitale figuriamoci alla scuola che diventa laboratorio di alternativa. Avete ragione. C'è nella scuola chi ha perso fiducia nella politica, nelle famiglie, chi nei ragazzi che ha davanti, qualcuno persino in se stesso. Tutto vero, siamo tutti mezzi in crisi. Ciò detto, l'unica mi sembra guardare questi orizzonti, per ora col binocolo, e provare a camminare in quella direzione. Piccoli passi avanti potrebbero migliorare la situazione e formare un contesto nuovo.
Abbiamo bisogno di risorse, fiducia e ottimismo della volontà. Se vi sembra troppo vi ricordo che la scuola è per ogni società l'infrastruttura strategica per eccellenza.
Alfio Sironi, Casatenovo