Lettere al giornale

Requiem di un pescatore bambino (ormai trent'enne)

Di Francesco Cogliati (avvocato)

Requiem di un pescatore bambino (ormai trent'enne)
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La passione per la pesca mi ha catturato così, all’improvviso molti anni fa, quando ero appena un bambino.

Vedendo al mare un mio coetaneo pescare dal molo, in compagnia della paziente nonnina, dei piccolissim pesci argentati, sono rimasto immediatamente affascinato dal gusto della trepidante attesa di veder affondare il galleggiante e dalla felicità che esplodeva quando, finalmente, il pesce abboccava facendo sparire
sott’acqua il piccolo pezzetto di sughero colorato.

Da quel momento, ho insistito con i miei genitori affinché mi comprassero una canna da pesca che, fortunatamente, babbo natale mi portò proprio quell’anno.
Nulla conoscevo di questo mondo ma sin da subito mi sono appassionato ed impegnato nell’apprendere quanto più possibile, con la foga ed energia che contraddistingue tutti i ragazzini.

Ma internet allora non c’era, pertanto l’unico modo per imparare a pescare rimaneva..andare a pesca!

Ricordo ancora le interminabili giornate sul fiume Adda tra Brivio e Imbersago, sempre in compagnia dell’amico d’infanzia, trascorse più che altro a “sperimentare” improbabili tecniche di pesca nel tentativo di catturare qualche pesce.

Ogni volta ci attardavamo nel tornare alla macchina che puntualmente ci veniva a recuperare e ogni volta ci dovevamo sorbire il “cazziatone” di una o dell’altra mamma perché eravamo in ritardo rispetto all’orario prestabilito.

Al mio rientro dall’avventura pomeridiana, i miei genitori sempre mi domandavano se avessi pescato qualcosa e dove fosse il pesce che avevo catturato, forse immaginando, senza troppe aspettative, di poter finalmente gustare del prelibato e fresco pesce di fiume.

Ed io che, nell’intero pomeriggio, a malapena ero riuscito a pescare qualche alborella e un paio di minuscoli persici, mi dovevo altresì sorbire la solita “ramanzina” (tipica per i genitori) sul fatto che pescare fosse una perdita di tempo e che avrei fatto meglio ad impiegare il mio tempo altrove, ad esempio a studiare.

Ma non mi importava delle critiche. Perché quando ero a pesca, mi sentivo bene, ero felice.

Dall’Adda al piccolo laghetto di Sartirana il passo è breve.

Un giorno, sentendo parlare un anziano pescatore di Brivio dell’esistenza di questo laghetto allora a me sconosciuto (ripeto, internet non era come oggi), ho voluto subito avventurarmici, sempre accompagnato dal mio fedele ed inseparabile amico.

Lì negli anni sono cresciuto, dapprima pescando i classici pesci gatto con il mais dolce e, successivamente, imparando anche a pescare le carpe.

Mentre scrivo queste poche righe, ondate di ricordi d’infanzia mi travolgono riportandomi indietro di parecchi anni nelle mille avventure passate sulle sponde del laghetto di Sartirana ma, per evitare di perdere il filo del discorso, mi limiterò a raccontare uno dei ricordi più cari che ho legati a questo stupendo laghetto,
ovvero la cattura della mia prima carpa.

Così come è stato difficoltoso, anni prima, imparare a pescare semplicemente provandoci, altrettanto lo è stato imparare, quale autodidatta, a pescare un pesce particolare come la carpa.

Con la differenza, di per sé non trascurabile, che le alborelle e i persici al massimo arrivano a pesare qualche etto, mentre le carpe superano con facilità i dieci chili.

Per tale ragione, mi sono innanzitutto dovuto attrezzare, comprando con i miei risparmi di quattordicenne le prime canne e primi mulinelli adatti alla nuova tipologia di pesca che volevo affrontare.

Da lì mi sono subito buttato nel provare questa nuova tecnica, cercando di “copiare” i pochi pescatori che allora vedevo catturare le grandi carpe che popolavano Sartirana, purtroppo senza risultati.

Ricordo ancora le levatacce che io e l’allora fedele compagno di avventure, facevamo per poter andare in motorino, all’alba, al laghetto di Sartirana, solo perché avevamo sentito dire da qualche “guru” di allora che la mattina fosse più proficua per la pesca della carpa.

Nonostante il nostro costante impegno, ci è voluto circa un anno prima che potessimo avere la possibilità di
catturare il nostro primo esemplare.

Cosa che accadde una mattina piovosa di maggio, a seguito dell’ennesima levataccia.

Dopo aver montato tutta la attrezzatura ed aver lanciato le nostre esche in acqua, il mio compagno di pesca decise di lasciarmi solo per andare a fare un giro attorno al laghetto, probabilmente nella certezza che, per l’ennesima volta, non ci sarebbe stato bisogno di alcun aiuto nel combattere alcun pesce.

Fortunatamente quella volta si sbagliava.

Dopo alcuni minuti infatti, il piccolo segnalatore elettronico d’abboccata (ebbene sì, ci eravam evoluti) che per quasi un anno intero e fino a quel momento era rimasto miseramente muto, iniziò a strillare con un repentino suono metallico, fastidioso ed ininterrotto, che mi fece sobbalzare.

Io, che nell’agitazione non sapevo più che fare (in fin dei conti era la prima carpa che abboccava alla nostra lenza) iniziai ad invocare a gran voce (alle sei di mattina) il nome del compagno di pesca affinché venisse in mio aiuto.

Questi, inizialmente pensando fosse il solito scherzo, non si preoccupò più di tanto, fintantoché non mi vide con la canna piegata verso il centro del lago e un grosso sorriso sul volto.

Ancora ricordo i nostri sforzi da principianti nel tentativo di direzionare la carpa all’interno dell’ampio guadino e l’urlo di gioia quando finalmente, dopo molte peripezie, vi entrò.

Al momento del rilascio del pesce in acqua, la nostra felicità era alle stelle; ancora oggi conservo gelosamente la prima foto (ovviamente sfocata per l’emozione) in cui fieri mostriamo la nostra prima cattura.

Da quel preciso momento e negli anni successivi, posso dire che la pesca della carpa mi abbia insegnato molto.

Infatti, essendo lo scopo di questa tecnica la cattura di esemplari sempre più grandi, è fondamentale non uccidere né lesionare il pesce, bensì rilasciarlo nelle migliori condizioni e con la massima cura ed attenzione (si utilizzano infatti ampi guadini e materassi impermeabili su cui adagiare il pesce per la foto ricordo), ciò affinché lo stesso possa ulteriormente crescere e avendo così la possibilità di incontrarlo più grande anche negli anni a venire.

È con questo spirito di attenzione e conservazione della natura e dell’ambiente che negli anni sono cresciuto ed ho coltivato la mia passione, arrivando a comprendere (nonostante gli inevitabili errori) che non solo la carpa ma ogni pesce, ogni essere vivente ed ecosistema in generale deve essere tutelato, non ucciso o distrutto.

Ho proseguito negli anni, compatibilmente con gli impegni di studio e lavoro, a recarmi con grande frequenza al lago di Sartirana per pescare o anche solo per passare del tempo in un ambiente a me familiare.

In tutto questo tempo, ho imparato a conoscere il lago in ogni suo angolo più o meno nascosto, osservando i suoi cambiamenti e l’inesorabile declino conseguente l’incuria e l’abbandono, sino all’inquinamento ed al bracconaggio delle specie ittiche presenti.

Nonostante ciò, ho sempre creduto, se non in una rinascita, quantomeno nella forza di questo piccolo laghetto che avevo sempre visto riprendersi in qualche modo.

Negli ultimi anni, la professione da me intrapresa non mi ha più consentito di dedicare molto tempo alla mia passione ma, in bici o a piedi, tornavo sempre almeno una volta a settimana a trovare il mio laghetto, anche al fine di “sorvegliare” che nessuno si comportasse male, magari pescando quando non si poteva o sporcando le sponde del lago.

In qualche occasione mi è anche capitato di rinvenire attrezzatura abbandonata di pescatori “di frodo” (reti, tironi ecc.) che subito eliminavo segnalando prontamente l’accaduto, oppure di scorgere qualche anomalo sversamento, altrettanto prontamente segnalato.

Nel mio piccolo quindi ho sempre cercato di tutelare quell’ambiente a me molto caro e nel quale sono cresciuto, nel tentativo di preservarlo, per quanto a me possibile, dalle azioni di coloro che non avevano così a cuore, come me, la salute del lago e di ogni specie presente.

Anche in occasione della devastante morìa degli ultimi giorni, mi trovavo personalmente sul lago: alle sei di mattina del quattro agosto ho visto i primi pesci morire per l’assenza di ossigeno e, unitamente ad un mio amico, ho provveduto tempestivamente a segnalare l’accaduto all’ente che ha in gestione le acque
(probabilmente la mia è stata altresì la prima segnalazione ad essere pervenuta alla FIPSAS la quale si è prontamente attivata).

Nei successivi drammatici giorni, in cui sono stato sempre presente al “capezzale” del laghetto di Sartirana, ho potuto riconoscere, in acqua, stesi sulle rive e nei bidoni gialli dell’immondizia, i cadaveri di quei pesci che io stesso avevo stretto in braccio negli anni passati e che avevo sempre cercato di tutelare e preservare con ogni sforzo.

Pesci di cui conservo gelosamente le foto ricordo e che ho visto crescere, di cui conoscevo il peso e le dimensioni, così come le abitudini e, per alcuni, anche le esche preferite.

Per la maggior parte delle persone son solo pesci, inquilini invisibili di uno specchio d’acqua verde putrescente dove o portar i bambini d’estate a giocare.

Per me invece, quanto accaduto è la fine di una parte fondamentale della mia vita, dall’adolescenza sino ad oggi, che coinvolge anche il mio futuro.

Ho visto scomparire, in due giorni, nella sostanziale indifferenza, l’intera fauna di un’oasi che ho sempre considerato come la mia seconda casa, dove andavo a rifugiarmi quando le cose non andavano o quando semplicemente volevo staccare dal mondo e dagli impegni lavorativi.

Ho, da oggi, l’amara consapevolezza che quando guarderò quel piccolo specchio d’acqua non sarà più con gli occhi di un tempo, sognanti nell’immaginare quali e quanti pesci enormi ancora da catturare potessero nascondersi sotto il pelo dell’acqua.

La magia, durata per me venti anni, si è irrimediabilmente spezzata in soli due giorni: tutti i pesci che sognavo di catturare ancora una volta, li ho rivisti tutti insieme, tutti cadaveri sulla riva o gettati con indifferenza nei bidoni dell’immondizia di fronte ai miei occhi, nella più triste cerimonia di estremo saluto.

D’ora in poi, quando guarderò quello specchio d’acqua a me tanto caro, saprò di star guardando unicamente una pozza d’acqua senza vita, che non potrà più essere la casa dei miei sogni di ragazzino.

Per molti dei lettori, il contenuto di questo mio scritto potrebbe esser ritenuto eccessivo (in fin dei conti sono solo pesci!).

Ed è a loro che principalmente mi rivolgo, nella speranza che questa mia condivisione possa far comprendere ai più l’importanza di tutelare tutti gli esseri viventi, dal pesciolino all’albero all’insetto, non limitandosi a guardare unicamente i propri interessi, al proprio piccolo orticello, ma avendo la capacità di uno sguardo
d’insieme del mondo in cui ci troviamo a vivere, che in ogni suo aspetto necessita delle nostre attenzioni e cure.

Allora più che un requiem, questo mio scritto vorrebbe essere un arrivederci.

Nella speranza di una futura rinascita di questo piccolo splendido laghetto, mediante l’impegno di tutti quanti, e dove ancora spero di poter portare, magari tra dieci o vent’anni, mio figlio, un giorno, a catturare la sua prima carpa.

 

Francesco Cogliati
Avvocato

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