Lettere al giornale

Perché le istituzioni locali non rappresentano il dilemma delle famiglie dei malati di Covid?

Di Rosaura Fumagalli (Cassago Brianza).

Perché le istituzioni locali non rappresentano il dilemma delle famiglie dei malati di Covid?
Pubblicato:

Fin dall’inizio dell’epidemia di CoVid-19 ho cominciato a fare un paio di telefonate al giorno a parenti, amici, ad alcune delle tante persone che ho avuto l’occasione di conoscere in questi ultimi quindici anni come Consigliere comunale e come ex Sindaco ed ora mi sto accorgendo, con infinito piacere, che sto ricevendo più chiamate di quelle che faccio.

Ne emerge che anche nella nostra bella Cassago sono tante le famiglie che stanno convivendo con il virus CoVid-19; non tutte per fortuna hanno componenti del nucleo famigliare contagiati purtroppo però sono molte quelle al cui interno c’è un membro che si “presume” abbia il coronavirus.

È a tutti coloro che si “presume” abbiano il virus che oggi vorrei dare voce, perché sono troppe le famiglie che ormai da quasi due mesi stanno vivendo nella paura, nell’angoscia perché pur avendo sintomi che richiamano il coronavirus non hanno e non stanno avendo certezze sul loro stato di salute.

I primi sintomi, sono solitamente un colpo di tosse di troppo, un odore che non si sente, i brividi di freddo, poche linee di febbre piccoli segnali che fanno immediatamente scattare in loro qualcosa, una paura e un’angoscia che li spingono a chiudersi ancora di più nelle proprie case e nel proprio silenzio.

I numeri di telefono dedicati che dovrebbero aiutare a capire cosa sta succedendo suonano ma in realtà dall’altra parte nessuno risponde.

I “presunti” contagiati si affidano ai medici di base che stanno facendo tanto, forse ben oltre quanto è loro richiesto.

E quando fortunatamente “vengono” presi in carico si trovano soli con una voce al telefono con cui parlare ma nessuna certezza perché il “protocollo” non prevede il tampone venga fatto.

La paura più grande che provano è proprio questo essere nell'incertezza di una diagnosi che non viene confermata, il timore di non poter accedere a una cura e ancora di più la paura di far del male alle persone a cui vogliono bene.

E’ un autoisolamento che ha poco a che vedere con il distanziamento sociale a cui tutti dobbiamo attenerci, è qualcosa di più subdolo che li sta logorando perché sanno che basta molto poco perché la situazione possa peggiorare e perché questo virus passi da una persona all'altra; con questa incertezza si rinchiudono nelle loro case come se fossero un rifugio o un’oasi felice mentre fuori il silenzio diventa ogni giorno più assordante.

Perché le Istituzioni locali non rappresentano a gran voce il dilemma di queste famiglie?

E’ vero che la gestione complessiva di questa pandemia è governata a livello nazionale ma ci sono scelte, ci sono domande e risposte che possono e devono essere date anche a livello locale. Perché questo assoluto silenzio sulla questione dei tamponi?

Da Amministratore locale faccio appello alla Conferenza Sindaci, principale interlocutore della Direzione Strategica dell’ATS nella programmazione territoriale, affinché tramite il Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci ci chiarisca perché non vengono effettuati i tamponi alle tante persone che si trovano nella situazione che ho descritto sopra. In altre regioni la situazione è ben diversa.

So bene che le decisioni in ambito socio-sanitario dipendono da Regione Lombardia ma è all’ATS BRIANZA - Azienda di Tutela della Salute (l’ex ASL di Lecco e Monza Brianza) che è stata affidata la programmazione e il controllo dei bisogni sanitari e sociosanitari dei cittadini dei 143 Comuni che fanno parte dei distretti di Lecco (88 Comuni), di Monza (10 Comuni) e di Vimercate (45 Comuni); sempre di ATS Brianza è la responsabilità dell’accreditamento delle strutture sanitarie e socio sanitarie, della negoziazione e dell’acquisto delle prestazioni sanitarie e socio sanitarie anche se la gestione degli ospedali e della rete territoriale con i vari percorsi di diagnosi, cura e riabilitazione per dare risposte complete ai cittadini del nostro territorio è in capo alle ASST - Aziende Socio sanitarie Territoriali composte da professionisti medici, infermieri, ecc.

Possibile che la Conferenza dei Sindaci - che attua l’esercizio delle proprie funzioni in un’ottica di indirizzo programmatorio su tutto il territorio dell’ATS Brianza, favorendo lo sviluppo di politiche di welfare territoriale integrate tra la sfera sociale di competenza degli Enti Locali e quella sanitaria e sociosanitaria in capo a Regione Lombardia e all’ATS - non si fa interprete dell’angoscia e delle paure che stanno vivendo tante nostre famiglie? Perché mancano i tamponi? Quante risorse economiche sono state e saranno destinate per la loro esecuzione?

Naturalmente nessuno ha la bacchetta magica perché questo virus è arrivato con prepotenza e ci ha colti tutti impreparati ma alcune domande dopo due mesi di stravolgimento della nostra vita forse ce le dobbiamo fare...

L’eccezionalità di questa pandemia sta probabilmente evidenziando la criticità della nostra “sanità territoriale” dove il soggetto di "sanità pubblica" pare non esistere più o perlomeno pare aver perso la sua funzione educazionale, preventiva e di indirizzo.

Senza questa rete si ha l’impressione che sia venuto a mancare un fattore determinante specialmente all'inizio dell’epidemia, quando i medici di base stavano riscontrando un numero troppo elevato di infezioni polmonari e in seguito nell'abbandono a casa di persone malate e lasciate di fatto alla cura dei propri familiari. Lasciare i medici di famiglia a loro stessi ha prodotto tante “bombe infettive”.

Un altro aspetto critico di questa sanità territoriale è stata la gestione delle R.S.A. Residenze Sanitarie Assistenziali che per la tipologia di persone non autosufficienti che ospitano e per essere poste in luoghi circoscritti con una organizzazione che non è paragonabile a quella di un ospedale ha e sta tutt’ora provocando un numero elevato di morti.

Siamo in democrazia e liberi di esprimere il nostro pensiero: io penso che un po' delle risorse economiche che Regione Lombardia ha destinato all’Ospedale in Fiera a Milano (costruito per ospitare 500 posti letto ma attualmente in funzione con solo una decina di pazienti effettivi e destinato a essere smantellato al termine della pandemia) avrebbero potuto essere spese per riattivare alcuni degli ospedali lombardi che sono stati chiusi in questo decennio.

L'ospedale in fiera -lo hanno detto fin dall'inizio i medici- non sarebbe comunque stato funzionale alla cura dei pazienti CoVid-19 perché troppo lontano dagli ospedali, perché una terapia intensiva non può vivere senza la vicinanza dei laboratori, della radiologia, senza gli approvvigionamenti della farmacia, senza la microbiologia, senza l'anatomia patologica, ecc.

Tantissime sono le strutture sanitarie private convenzione con Regione Lombardia: forse si poteva chiedere anche a loro di aprire i laboratori per fare i tamponi dando così una risposta concreta a tanti di noi che vivono nell'angoscia da settimane e settimane.

In Lombardia, regione che è sempre stata ritenuta un'eccellenza in ambito sanitario, tutto questo suona un po' come una stortura, un tracollo.

So che non sempre è facile dare risposte perché i meccanismi sono così complessi che possono coinvolgere più soggetti, ma ritengo che ognuno, in base alle proprie competenze, abbia il dovere morale e civile di dire qualcosa a queste famiglie che, ribadisco, vivono da troppo tempo nell’angoscia.

Rosaura Fumagalli

Seguici sui nostri canali