Sovraindebitamento: due interessanti pronunce del Tribunale di Milano e del Tribunale di Reggio Emilia

Si afferma che le quote di una società a responsabilità limitata, possedute dal soggetto sovraindebitato, possono essere escluse dalla liquidazione del suo patrimonio

Sovraindebitamento: due interessanti pronunce del Tribunale di Milano e del Tribunale di Reggio Emilia
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In questo periodo di grave crisi economica -con numerose persone che hanno visto aggravata la propria posizione debitoria, anche in ragione delle chiusure imposte dalle competenti autorità ad alcune attività economiche per fronteggiare l’emergenza pandemica- è sempre più frequente la necessità dei soggetti (sovra)indebitati di ricorrere alle procedure previste dalla L. n. 3/2012 e successive modifiche.

Infatti, questa Legge -detta anche “salva-suicidi” o sul “sovraindebitamento”- permette ai soggetti (sovra)indebitati di far fronte ai debiti contratti, al fine di estinguerli e soddisfare, quantomeno in parte e secondo le proprie possibilità, la massa creditoria.

Tra le procedure più utilizzate per risolvere definitivamente il problema del sovraindebitamento vi è la liquidazione del patrimonio.

Nell’ambito di questa procedura, l’art. 14 ter L. n. 3/2012 prevede che il debitore metta a disposizione del ceto creditorio tutti i suoi beni, ad esclusione: a) dei crediti impignorabili ai sensi dell'articolo 545 c.p.c.; b) dei crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, degli stipendi, pensioni, salari e di ciò che il debitore guadagna con la sua attività, nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia indicati dal giudice; c) dei frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, dei beni costituiti in fondo patrimoniale e dei frutti di essi, salvo quanto disposto dall' articolo 170 del codice civile; d) delle cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.

E’ evidente che tali esclusioni sono ispirate al principio del favor debitoris e, cioè, dall’obiettivo di permettere al debitore di condurre una vita dignitosa, evitando che siano liquidati anche quei beni dai quali deriva il suo sostentamento.

Ebbene, in due recenti sentenze del Tribunale di Milano e del Tribunale di Reggio Emilia, si è affermato che anche le quote sociali che il debitore possiede in una società dalla quale il medesimo ricava il proprio reddito possono essere escluse dalla liquidazione.

Per arrivare a questa conclusione, nelle menzionate pronunce è stata operata una lettura analogica della previsione di cui all’art.14-ter, comma 6, lett. b) sopra citato.

In particolare, il Tribunale di Milano, con decreto del 19.01.2021, si è pronunciato sulla richiesta di un architetto che svolgeva la propria attività professionale in forma societaria anziché autonoma e che chiedeva di essere autorizzato a mantenere estranee al patrimonio in liquidazione le quote che deteneva.

La società a responsabilità limitata in questione era, infatti, dotata di un capitale sociale pari al minimo legale e di un patrimonio costituito solamente dai ricavi provenienti dall’attività professionale del ricorrente.

Il valore delle quote dipendeva, in sostanza, dalla sola attività svolta dal professionista sicché la messa in liquidazione della società non avrebbe portato significativi introiti alla procedura, ma avrebbe addirittura privato il ricorrente della sua unica fonte di reddito.

Il Tribunale, pertanto, accoglieva la richiesta di esclusione delle quote sociali dalla liquidazione, interpretando analogicamente l’art.14-ter, comma 6, lett. b) L. n. 3/2012, che appunto esclude dalla liquidazione le poste patrimoniali che integrano i guadagni del debitore, anche considerando l’assenza di valore di liquidazione delle quote stesse.

Anche il Tribunale di Reggio Emilia, con decreto del 05.02.2021, si è pronunciato analogamente in merito alla richiesta avanzata dall’istante di mantenere estranee al patrimonio in liquidazione le quote sociali di una s.r.l. di cui il debitore era titolare al 50%, posto che il valore di tali quote in sede di collocazione sul mercato sarebbe stato pari a zero e che l’unico reddito del richiedente derivava dai dividendi ricavati da tale partecipazione.

Anche in questo caso, il Giudice ha ritenuto, in modo condivisibile, di includere tali quote sociali nell’ambito dei cespiti non compresi nella liquidazione per due ordini di considerazioni.

Innanzitutto, ha rilevato che la liquidazione della quota non avrebbe recato alcuna utilità alla procedura, dato il valore nullo di collocazione sul mercato.

Poi, ha appurato che la capacità reddituale della società era da ricondursi esclusivamente all’apporto lavorativo dei soci (il richiedente e suo fratello), con la conseguenza che l’inclusione della quota del debitore nel patrimonio liquidabile avrebbe privato il debitore stesso dell’unica fonte di sostentamento per sé e per la propria famiglia.

Ne è derivata, pertanto, l’esclusione di tali quote dalla liquidazione.

Va segnalato che in entrambi i casi i debitori si impegnavano, comunque, a destinare alla procedura gli eventuali utili eccedenti l’importo mensile ritenuto necessario dal giudice per il sostentamento familiare.

Si può concludere, quindi, affermando che le decisioni predette appaiono condivisibili, perché paiono ispirate ad un sano pragmatismo e sono certamente in linea con le finalità perseguite dalla L. n. 3/2012, la quale, in sintesi, mira a dare anche ai soggetti (sovra)indebitati la possibilità di estinguere i propri debiti e di ottenere, attraverso la procedura di esdebitazione, il cosiddetto fresh start, e cioè la possibilità di riprendere la propria vita economica nel consesso sociale senza più il peso dell’indebitamento.

 

Dott.ssa Katia Panzeri
Avv. Matteo Notaro

Studio Legale Notaro e Associati

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